mercoledì 8 gennaio 2014

Granatiere

Il Granatiere nel 1939 (Coll. Maurizio Brescia via Associazione Venus)

Cacciatorpediniere della prima serie della classe Soldati (dislocamento standard 1850 t, in carico normale 2140 t, a pieno carico 2460 t). Tra il giugno 1943 ed il settembre 1943 effettuò 124 missioni di guerra, percorrendo 47.000 miglia.

Una foto aerea dell’unità (g.c. Associazione Nazionale Granatieri di Sardegna)

Breve e parziale cronologia.

5 aprile 1937
Impostazione nei Cantieri Navali Riuniti di Palermo.
24 aprile 1938
Varo nei Cantieri Navali Riuniti di Palermo.
1° febbraio 1939
Entrata in servizio.
15 giugno 1939
Consegna della bandiera di combattimento, in una cerimonia collettiva a Livorno, insieme a tutte le undici unità gemelle.

Consegna della bandiera di combattimento al Granatiere, presenti il suo primo comandante, Gerardo Galatà, ed il principe ereditario Umberto, presidente dell’Associazione Nazionale Granatieri di Sardegna (g.c. Giovanni Pinna)

1939
Assegnato alla XIII Squadriglia Cacciatorpediniere. Compie una crociera in Spagna.
10 giugno 1940
All’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale, il Granatiere è l’unità caposquadriglia della XIII Squadriglia Cacciatorpediniere, che forma insieme ai gemelli Bersagliere, Fuciliere ed Alpino. La XIII Squadriglia è assegnata alla VII Divisione incrociatori (II Squadra Navale).

Il Granatiere nel 1940, sullo sfondo una corazzata classe Littorio (tratta da Elio Andò, Erminio Bagnasco. “Marina Italiana. Le operazioni nel Mediterraneo. Giugno 1940 - Giugno 1942.” Milano, Intergest, 1976, via it.wikipedia.org)

22-24 giugno 1940
Il Granatiere (caposquadriglia) ed il resto della XIII Squadriglia compiono un’infruttuosa incursione contro il traffico mercantile francese nel Mediterraneo occidentale insieme alla VII Divisione incrociatori, con la copertura a distanza della II Squadra Navale (Divisioni incrociatori I, II e III più l’incrociatore pesante Pola, Squadriglie Cacciatorpediniere IX, X e XII). Il gruppo VII Divisione-XIII Squadriglia, dopo essersi trasferito da Napoli a Cagliari nella notte tra il 21 ed il 22, lascia Cagliari alle 19.30 del 22, per portarsi entro l’alba del 23 in un punto trenta miglia ad est di Porto Mahon, per poi dirigere verso nord sino alle 8.30. Nessuna unità nemica viene trovata, e dalle 13.45 alle 16.30 la formazione viene pedinata da un ricognitore francese (che rimane fuori dalla portata delle artiglierie contraeree), venendo poi infruttuosamente attaccata alle 17 da un singolo bombardiere francese. Alle 19.30 del 23 le navi fanno ritorno a Cagliari e, dopo il necessario rifornimento, ripartono per Napoli, così sfuggendo ad un bombardamento su Cagliari effettuato nel mattino del 24 da una dozzina di velivoli britannici con obiettivo proprio le unità italiane, che erano state fatte subito ripartire proprio in previsione di un attacco simile.
7-11 luglio 1940
Parte da Palermo alle 12.35 insieme al resto della XIII Squadriglia ed alla VII Divisione (incrociatori leggeri Eugenio di Savoia, Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, Muzio Attendolo e Raimondo Montecuccoli), incaricata di dare scorta indiretta ad un convoglio diretto in Libia (motonavi da carico Marco Foscarini, Francesco Barbaro e Vettor Pisani, motonavi passeggeri Esperia e Calitea, con la scorta diretta dei due incrociatori leggeri della II Divisione, dei quattro cacciatorpediniere della X Squadriglia, delle quattro torpediniere della IV Squadriglia e delle vecchie torpediniere Rosolino Pilo e Giuseppe Missori). Il resto della II Squadra Navale (incrociatore pesante Pola, I e III Divisioni incrociatori con cinque navi in tutto e IX, XI e XII Squadriglia Cacciatorpediniere) fornisce anch’essa scorta indiretta al convoglio, stando però 35 miglia ad est di esso. La I Squadra Navale (V Divisione con le corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour, IV e VIII Divisione con sei incrociatori leggeri, VII, VIII, XV e XVI Squadriglia Cacciatorpediniere con 13 unità) è in mare a sostegno dell’operazione.
Giunto il convoglio a destinazione, la flotta italiana si avvia sulla rotta di rientro (la VII Divisione con la XIII Squadriglia dirige perciò su Palermo), ma viene informata che anche la Mediterranean Fleet è in mare per un’operazione simile, quindi dirige per incontrare il nemico. Il 9 luglio la XIII Squadriglia (compreso il Granatiere che ne è il caposquadriglia), come altre squadriglie di cacciatorpediniere, viene autorizzata a rifornirsi ad Augusta prima di riprendere il mare per il previsto punto di riunione delle forze navali italiane (37°40’ N e 17°20’ E, 65 miglia a sudest di Punta Stilo, con incontro previsto per le 14 od al massimo, per i cacciatorpediniere distaccati a rifornirsi, per le 16). Ricongiuntasi con la VII Divisione, la XIII Squadriglia dirige insieme ad essa per riunirsi al grosso delle forze da battaglia italiane, ma la VII Divisione (e la XIII Squadriglia) raggiunge in ritardo, a combattimento già in corso, la squadra italiana (la VII Divisione, proveniente da sud-sud-ovest, viene avvistata dal resto della flotta poco prima che quest’ultima avvisti anche la Mediterranean Fleet, che si trova nella direzione opposta, e diriga contro di essa, così ritardando il ricongiungimento), così che non ha modo di partecipare allo scontro; terminata la battaglia in un nulla di fatto, la VII Divisione con la XIII Squadriglia, senza neanche riunirsi alla flotta italiana, fa rotta su Palermo, e successivamente, attraversato lo stretto di Messina, riceve l’ordine di dirigere su Napoli.

30 luglio-2 agosto 1940
Il Granatiere, partito da Palermo, fornisce protezione a distanza, insieme ai gemelli Bersagliere, Ascari e Fuciliere, agli incrociatori pesanti Pola, Zara, Fiume, Trento e Gorizia, agli incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano, Alberto Di Giussano, Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi, Eugenio di Savoia, Montecuccoli ed Attendolo ed alla IX, XII e XV Squadriglia Cacciatorpediniere (undici unità in tutto), a due convogli diretti in Libia (partiti da Napoli e diretti l’uno a Tripoli e l’altro a Bengasi) e comprensivi in tutto di dieci trasporti (Maria Eugenia, Gloria Stella, Mauly, Bainsizza, Col di Lana, Francesco Barbaro, Città di Bari, Marco Polo, Città di Napoli e Città di Palermo), quattro cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco) e dodici torpediniere (Orsa, Procione, Orione, Pegaso, Circe, Climene, Clio, Centauro, Airone, Alcione, Aretusa ed Ariel). L’operazione è denominata «Trasporto Veloce Lento». Entrambi i convogli raggiungono senza danni le loro destinazioni tra il 31 luglio ed il 1° agosto.

30 agosto 1940
La XIII Squadriglia, essendo stata dislocata a Taranto per essere assegnata alla IX Divisione (I Squadra) a partire dal 1° settembre, lascia Palermo per raggiungere la nuova base.
1-2 settembre 1940
Salpa da Reggio Calabria e partecipa ad una ricognizione in forze ad ovest di Capo Matapan, a contrasto dell’operazione britannica «Hats». La XIII Squadriglia cui appartiene parte da Taranto alle sei del mattino del 31 agosto insieme alla IX Divisione (corazzate Littorio e Vittorio Veneto), alla V Divisione (corazzate Caio Duilio, Conte di Cavour e Giulio Cesare, quest’ultima aggregatasi solo il 1° settembre a causa di avarie), alla I Divisione (incrociatori pesanti Zara, Pola, Fiume e Gorizia), all’VIII Divisione (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi) ed ad altri 23 cacciatorpediniere. Complessivamente all’alba del 31 prendono il mare da Taranto, Brindisi e Messina 4 corazzate, 13 incrociatori della I, III, VII e VIII Divisione e 39 cacciatorpediniere. Alle 22.30 la formazione italiana riceve l’ordine di impegnare le forze nemiche a nord della congiungente Malta-Zante, dunque deve cambiare la propria rotta per raggiungerle (o non potrebbe prendere contatto con esse), dirigendo più verso sudovest (verso Malta) e superando la congiungente Malta-Zante. Il mattino del 1° settembre, tuttavia, il vento, già in aumento dalla sera precedente, dà origine ad una violenta burrasca, che costringe la flotta italiana a tornare alle basi, perché i cacciatorpediniere non sono in grado di tenere il mare compatibilmente con le necessità operative. Poco dopo la mezzanotte del 1° settembre le unità italiane entrano nelle rispettive basi; tutti i cacciatorpediniere sono stati danneggiati (specie alle sovrastrutture) dal mare mosso, alcuni hanno perso degli uomini in mare.
7-9 settembre 1940
Parte da Taranto, compie una crociera di guerra nel Mediterraneo occidentale e fa ritorno a Napoli. La flotta italiana (5 corazzate, 6 incrociatori e 19 cacciatorpediniere) lascia infatti Taranto alle 16 del 7 diretta a sud della Sardegna, per intercettare la Forza H britannica che si presume diretta verso Malta. La ricognizione aerea, tuttavia, non avvista nessuna nave nemica (la Forza H, infatti, aveva lasciato Gibilterra per un’operazione da svolgersi non nel Mediterraneo ma nell’Atlantico), dunque alle 16 dell’8 settembre la formazione italiana, arrivata a sud della Sardegna, inverte la rotta e raggiunge le basi del Tirreno meridionale, da dove il 10 tornerà nelle basi di dislocazione normale (Taranto e Messina).

La nave nei primi mesi del 1940 (Coll. Maurizio Brescia via Associazione Venus)

1° ottobre 1940
Partecipa ad una ricognizione in forze nel Mar Ionio meridionale. La sera del 29 settembre sono infatti uscite in mare da Taranto il Pola, le divisioni I, V, VII, VIII e IX e 19 cacciatorpediniere (il Pola con la I Divisione e 4 cacciatorpediniere alle 18.05 e le altre unità alle 19.30) e da Messina la III Divisione con 4 cacciatorpediniere per contrastare un’operazione britannica in corso. La formazione uscita da Taranto assume rotta 160° e velocità 18 nodi, riunendosi con le navi provenienti da Messina alle 7.30 del 30 settembre. In mancanza di elementi sufficienti ad apprezzare la composizione ed i movimenti della Mediterranean Fleet ed in considerazione dello svilupparsi di una burrasca da scirocco (che avrebbe reso impossibile una navigazione ad alta velocità verso sud da parte dei cacciatorpediniere) Supermarina decide di rinunciare a contrastare l’operazione ed ordina alle unità in mare di invertire la rotta alle 6.25 del 30 ed incrociare dapprima tra i paralleli 37° e 38°, poi (dalle 10.30) 38° e 39° ed alle 14 fare rotta verso sudovest sino a raggiungere il 37° parallelo, poi, alle 17.20, di rientrare alle basi. Navigando nella burrasca, la flotta italiana raggiunge le basi tra l’una e le quattro del mattino del 1° ottobre, vi si rifornisce in fretta e rimane in attesa di un’eventuale nuova uscita per riprendere il contrasto, ma in base alle nuove informazioni ottenute ciò risulterà impossibile, pertanto, alle 14.00 del 2 ottobre, le navi riceveranno l’ordine di spegnere le caldaie.
11-12 novembre 1940
Nella notte tra l’11 ed il 12 novembre il Granatiere è a Taranto (alla fonda in Mar Piccolo a poppa sinistra rispetto all’incrociatore pesante Trieste) quando un attacco di aerosiluranti affonda la corazzata Conte di Cavour e danneggia gravemente le corazzate Caio Duilio e Littorio (attacco noto come “notte di Taranto”), ma non riporta alcun danno.
Nel pomeriggio del 12 novembre la nave, insieme al resto della XIII Squadriglia, alla X Squadriglia ed alle corazzate Vittorio Veneto, Giulio Cesare ed Andrea Doria (uniche uscite indenni dall’attacco) lascia Taranto, base non più sicura, e raggiunge Napoli.
16-18 novembre 1940
Lascia Napoli e prende parte ad una crociera di guerra nel Mediterraneo occidentale per intercettare una formazione navale nemica individuata con rotta verso est. Complessivamente alle 10.30 del 16 prendono il mare Vittorio Veneto e Cesare, I Divisione (da Napoli) e III Divisione (da Messina) e le Squadriglie Cacciatorpediniere IX, XII, XIII e XIV. Raggiunto alle 16.30 un punto prestabilito 45 miglia a nord-nord-est di Ustica, la formazione italiana dirige poi verso ovest ed alle 17.30 arriva 35 miglia a sudovest di Sant’Antioco. Dopo aver navigato per un po’ in direzione dell’Algeria, la squadra italiana riceve l’ordine rientrare.
26-28 novembre 1940
Tra le 11.50 e le 12.30 del 26 il Granatiere lascia Napoli unitamente alle altre unità della XIII Squadriglia (di cui è ancora caposquadriglia), alla VII Squadriglia Cacciatorpediniere (Dardo, Freccia e Saetta) ed alle corazzate Vittorio Veneto e Giulio Cesare (prendono il mare al contempo anche l’incrociatore pesante Pola, la I Divisione con due unità e la IX Squadriglia Cacciatorpediniere con quattro unità). La formazione italiana (vi sono anche la III Divisione e la XII Squadriglia Cacciatorpediniere partite da Messina) si riunisce 70 miglia a sud di Capri alle 18.00 del 26 novembre, assumendo poi rotta 260° e velocità 16 nodi, per intercettare un convoglio britannico diretto a Malta. XIII e VII Squadriglia scortano le due corazzate (così formando la I Squadra). Tra le 8.30 e le 9.10 la I Squadra, rimanendo indietro rispetto agli incrociatori (che formano la II Squadra), a poppavia dei quali sta procedendo, accelera a 17 e poi a 18 nodi per ridurre la distanza. Alle 9.50 le corazzate avvistano un ricognitore britannico Bristol Blenheim, contro cui aprono il fuoco alle 10.05 (il velivolo si allontana). Alle 11 la formazione inverte la rotta ed aumenta la velocità da 16 a 18 nodi, ed alle 11.28 assume rotta 135°, per intercettare la formazione britannica che (dalle segnalazioni dei ricognitori) risulta avere posizione differente da quella prevista. Alle 12.07, in seguito alla constatazione che la formazione britannica appare superiore a quella italiana (i cui ordini sono di impegnarsi solo se in condizioni di sicura superiorità) l’ammiraglio Inigo Campioni, al comando della flotta italiana, ordina di assumere rotta 90° per rientrare alle basi senza ingaggiare il combattimento, e di aumentare la velocità. Alle 12.15, tuttavia, vengono avvistate le sopraggiungenti navi britanniche, pertanto viene ordinato di incrementare ancora la velocità (che è di 25 nodi per la I Squadra e di 28 per la II Squadra, che deve riunirsi alla I essendo più indietro). Alle 12.20 gli incrociatori della II Squadra aprono il fuoco da 21.500-22.000 metri. Per avvicinarsi rapidamente alla II Squadra, alle 12.27 la I Squadra inverte la rotta ad un tempo sulla dritta, ed alle 12.35 inverte nuovamente la rotta, sempre a dritta; poco dopo un gruppo di aerosiluranti britannici, decollati dalla portaerei Ark Royal, si porta a 650 metri dalle corazzate (tra queste ed i cacciatorpediniere della scorta) e lancia infruttuosamente i propri siluri, undici, tutti evitati con la manovra. I cacciatorpediniere rispondono con un intenso tiro delle mitragliere contraeree, così come le corazzate (con i loro pezzi da 90 ed anche da 152 mm oltre alle mitragliere). Alle 13.00 la Vittorio Veneto apre il fuoco da poco meno di 29.000 metri, ma le unità britanniche subito accostano a dritta e la distanza aumenta a 31.000 metri, costringendo la corazzata a cessare il fuoco già alle 13.10. Alle 13.15, essendo la distanza (della II Squadra dalle forze britanniche) salita a 26.000 metri, il tiro viene cessato anche dagli incrociatori, viene rotto il contatto. Ha così fine l’inconclusiva battaglia di Capo Teulada. Alle 21 del 27 novembre le navi italiane assumono rotta nord a 15 nodi e procedono sino alle 00.30, poi dirigono verso est fino alle 7.30 del 28, dopo di che seguono le rotte costiere, arrivando a Napoli tra le 13.25 e le 14.40 del 28.
15 dicembre 1940
Intorno alle 17 il Granatiere, insieme al resto della XIII Squadriglia, alle Squadriglie Cacciatorpediniere VII e IX, alle corazzate Giulio Cesare e Vittorio Veneto ed agli incrociatori pesanti Zara e Gorizia, lascia Napoli diretto a La Maddalena, dove le navi sono state temporaneamente trasferite per sottrarle ad altri attacchi aerei britannici dopo che, nelle settimane precedenti, vari bombardamenti hanno causato vari danni. Le unità rimangono a La Maddalena, porto non molto più al sicuro di Napoli dagli attacchi aerei, solo per i pochi giorni necessari all’approntamento a Napoli di adeguate contromisure contro i bombardamenti (tra cui impianti per l’annebbiamento del porto).
20 dicembre 1941
Le navi rientrano a Napoli.


9 gennaio 1941
In serata il Granatiere, con il resto della XIII Squadriglia e con la VII Squadriglia, lascia Napoli e si trasferisce a La Spezia scortando le corazzate Vittorio Veneto e Giulio Cesare, fatte partire da Napoli per sottrarle ad eventuali attacchi aerei (per maggior sicurezza) dopo la scoperta che le forze navali britanniche sono impegnate nell’operazione «Excess».
8-11 febbraio 1941
Alle 18.45 dell’8 febbraio il Granatiere ed il resto della sua squadriglia (meno il Bersagliere, che è ai lavori) oltrepassano le ostruzioni della base di La Spezia, prendendo il mare insieme alle corazzate Vittorio Veneto, Giulio Cesare ed Andrea Doria ed alla X Squadriglia Cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco) per intercettare l’aliquota della Forza H britannica che sta facendo rotta su Genova con l’intento di bombardare il capoluogo ligure (ma l’obiettivo della Forza H non è noto ai comandi italiani). Una volta in mare il Granatiere ed il resto della XIII Squadriglia assumono posizione di scorta ravvicinata a sinistra (la X Squadriglia assume invece la scorta ravvicinata a dritta) delle tre navi da battaglia, che procedono su rotta 220° ad una velocità di 16 nodi. Alle otto del mattino del 9 le unità uscite da La Spezia si riuniscono, a 40 miglia ad ovest di Capo Testa sardo, alla III Divisione (Trento, Trieste, Bolzano) partita da Messina unitamente ai cacciatorpediniere Carabiniere e Corazziere, ed alle 8.25 l’intera formazione assume rotta 230°, dirigendo per quella che è ritenuta la probabile zona ove si trovano le navi nemiche, nell’ipotesi, errata, che la loro azione sia diretta contro la Sardegna.
La squadra italiana non raggiunge così la Forza H prima che il bombardamento di Genova si compia, e viene inviata alla sua ricerca mentre questa rientra a Gibilterra: alle 9.35 le navi italiane assumono rotta 270° (verso ovest), ed alle dieci, in seguito alle informazioni pervenute con nuovi messaggi, fanno rotta verso nord. Alle 12.44, dopo vari messaggi contraddittori su rotta e posizione delle forze britanniche, la formazione italiana assume rotta 330° in modo da poterle intercettare nel caso stiano navigando verso ovest seguendo rotte costiere, ma alle 13.16, dopo aver ricevuto nuovi messaggi, le corazzate accostano di 60° assumendo rotta 30° (la III Divisione assume invece rotta 50° alle 13.07), accelerando a 24 nodi, e la XIII Squadriglia riceve l’ordine di riunirsi e posizionarsi all’estremità meridionale della formazione (analogamente fa la X Squadriglia, che però si posiziona all’estremità settentrionale). Alle 13.21 viene diramato l’ordine a tutte le unità di prepararsi al combattimento, ritenendo prossimo l’incontro con il nemico, ed alle 15.24 e 15.38 vengono avvistate delle navi sospette, che però si rivelano essere mercantili francesi in navigazione. Alle 15.50 la squadra italiana accosta verso ovest e prosegue a 24 nodi per intercettare la Forza H nel caso stia navigando verso ovest lungo la costa francese, ma alle 17.20 la velocità viene ridotta a 20 nodi, mentre vengono meno le speranze di trovare le navi britanniche. Alle 18 le navi accostano verso nord, ed alle 19 verso est, riducendo la velocità a 18 nodi e cessando il posto di combattimento. Durante la notte, in seguito ad un ordine ricevuto alle 22.50, la squadra italiana incrocia nel golfo di Genova a 15 nodi (accelerando poi a 20 nodi alle otto del mattino del 10), venendosi così a trovare, alle nove del mattino del 10, al centro del quadratino 19-61, come ordinato. Alle 9.07 viene ricevuto l’ordine di rientrare a Napoli (Messina per la III Divisione), dove le navi arrivano nel mattino dell’11 febbraio.
27-29 marzo 1941
Il Granatiere (CV Vittorio De Pace, caposquadriglia) e le altre tre navi della XIII Squadriglia lasciano Messina, assegnate alla scorta della corazzata Vittorio Veneto, che insieme alla I Divisione (Zara, Pola, Fiume), alla III Divisione (Trento, Trieste, Bolzano), alla VIII Divisione (incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi), alla IX Squadriglia Cacciatorpediniere (Vittorio Alfieri, Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti, Giosuè Carducci), alla XVI Squadriglia (Nicoloso Da Recco, Emanuele Pessagno) ed alla XII Squadriglia (Ascari, Corazziere, Carabiniere), parteciperà all’operazione «Gaudo», un incursione contro il naviglio britannico nel Mediterraneo orientale, a nord di Creta. Alle 6.15 del 27, davanti a Messina, la XIII Squadriglia rileva la X Squadriglia (Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco) che ha scortato la Vittorio Veneto da Napoli sino a lì, e che entra a Messina, rifornendosi e restandovi poi pronta a muovere.
La navigazione prosegue senza incidenti sino alle 12.25 del 27 marzo, quando il Trieste comunica che la III Divisione è stata avvistata da un ricognitore britannico Short Sunderland; in seguito a questo, la squadra italiana, poco dopo le 14, accosta per 150° (prima la rotta era 134°) per trarre in inganno il velivolo, e segue questa rotta sino alle 16, per poi riaccostare per 130°, e poi – alle 19.30 – per 98° portando la velocità a 23 nodi, in modo da arrivare nel punto prestabilito a sud di Gaudo all’alba del 28. Alle 22 del 27 Supermarina annulla l’attacco a nord di Creta, dato che dalla ricognizione risulta che non vi sono convogli da attaccare.
Alle 6.35 del mattino del 28 un idroricognitore catapultato dalla Vittorio Veneto avvista la Forza B britannica (composta dagli incrociatori leggeri Orion, Ajax, Perth e Gloucester e dai cacciatorpediniere Vendetta, Hasty, Hereward ed Ilex), in navigazione con rotta stimata 135° e velocità 18 nodi una quarantina di miglia ad est-sud-est dall’ammiraglia italiana. Alle 6.57, mentre la III Divisione riceve l’ordine di assumere rotta 135° e velocità 30 nodi (per raggiungere gli incrociatori britannici, poi dirigere verso la Vittorio Veneto ed attirarli così verso la corazzata), il resto della formazione italiana aumenta la velocità a 28 nodi.
Alle 7.55 la III Divisione avvista la Forza B, ma dato che anche la Forza B cerca di attirare le navi italiane verso il grosso della Mediterranean Fleet (tra cui le corazzate Barham, Valiant e Warspite e la portaerei Formidable, della cui presenza in mare gli italiani sono del tutto all’oscuro), e pertanto si ritira, la manovra pianificata dall’ammiraglio Iachino (comandante la squadra italiana) non si concretizza, e sono invece le navi italiane ad inseguire quelle britanniche. Ha così inizio lo scontro di Gaudo. Terminato l’infruttuoso inseguimento e scambio di cannonate, le navi italiane alle 8.55 accostano per 270° ed assumono rotta 300° e velocità di 28 nodi, seguite a distanza dalla Forza B, che tiene informato il resto della Mediterranean Fleet dei movimenti delle unità italiane. Essendosene reso conto, alle 10.02 l’ammiraglio Iachino ordina alla III Divisione di proseguire sulla sua rotta, mentre la Vittorio Veneto (scortata dalla XIII Squadriglia) e le altre navi invertono la rotta (assumendo rotta 90°) per sorprendere alle spalle la Forza B (portandosi ad est delle navi britanniche e poi accostando verso sud), porla tra due fuochi (la III Divisione ed il resto della formazione italiana) ed impedirne la ritirata. Le unità della Forza B sono però più a nord di quanto ritenuto (e segnalato) e pertanto l’incontro avviene alle 10.50: alle 10.56 la Vittorio Veneto apre il fuoco da 23.000 metri, e la Forza B subito accosta verso sud e si ritira inseguita dalle navi italiane, ma le distanze vanno aumentando ed il tiro della Vittorio Veneto risulta inefficace. Alle 10.57 vengono avvistati sei aerei che si rivelano poi essere aerosiluranti britannici (decollati dalla Formidable), che alle 11.18 attaccano: la corazzata italiana accosta sulla dritta, e la XIII Squadriglia si porta in posizione adatta ad impedire l’attacco, aprendo intenso fuoco contraereo; alle 11.25 gli aerosiluranti lanciano, ma sono costretti a farlo da una distanza eccessiva, ed i siluri non vanno a segno.
Successivi messaggi e segnalazioni, che confermano l’assenza di traffico convogliato britannico da attaccare, fanno decidere all’ammiraglio Iachino di proseguire nella navigazione di ritorno verso le basi italiane.
Alle 14.30, 15.01 e 15.40 la Vittorio Veneto viene attaccata da bombardieri in quota britannici (le bombe cadono a 50-150 metri dalle navi); anche la I e la III Divisione subiscono ripetuti attacchi aerei.
Alle 15.19 si verifica un secondo attacco di aerosiluranti che, in tre, attaccano la corazzata, mentre dei caccia attaccano le unità della XIII Squadriglia; anche dei bombardieri in quota partecipano all’attacco. Il Granatiere viene mitragliato da un caccia ed ha alcuni feriti tra l’equipaggio, ma risponde al fuoco, ritenendo, erroneamente, di aver abbattuto l’aereo attaccante. L’intenso tiro contraereo dei cacciatorpediniere della XIII Squadriglia colpisce uno degli aerosiluranti (pilotato dal capitano di corvetta John Dalyell-Stead), che però, prima di precipitare in mare con la morte dei tre uomini di equipaggio (sarà l’unica perdita britannica nella battaglia), riesce a ridurre le distanze con la Vittorio Veneto a meno di 1000 metri ed a lanciare un siluro, che colpisce la nave da battaglia a poppa, in posizione 35°00’ N e 22°01’ E. Alle 15.30 la Vittorio Veneto, che ha imbarcato 4000 tonnellate d’acqua, si immobilizza, ma dopo sei minuti rimette in moto, sebbene a fatica: solo alle 17.13 riesce a sviluppare una velocità di 19 nodi. La flotta italiana dirige su Taranto, ed alle 16.38 l’ammiraglio Iachino, in previsione di altri attacchi aerei in arrivo al tramonto, ordina che le altre unità si dispongano intorno alla danneggiata Vittorio Veneto per proteggerla da altri attacchi. La formazione risulterà assunta alle 18.40, con cinque colonne di unità disposte in linea di fila: da sinistra a destra, la XII Squadriglia Cacciatorpediniere (Corazziere, Carabiniere, Ascari), la III Divisione (Trieste, Trento, Bolzano), la Vittorio Veneto preceduta da Granatiere (in testa) e Fuciliere (tra il Granatiere e la corazzata) e seguita da Bersagliere (tra la nave da battaglia e l’Alpino) ed Alpino (in coda), la I Divisione (Zara, Pola, Fiume) e la IX Squadriglia (Vittorio Alfieri, Vincenzo Gioberti, Giosuè Carducci, Alfredo Oriani). Alle 18.23 (nel frattempo la velocità della Vittorio Veneto è scesa a 15 nodi) vengono avvistati nove aerosiluranti britannici, che si tengono a distanza, ed alle 19.15 la formazione italiana accosta per conversione ed assume rotta 270° (in modo da essere meno illuminate possibile dal sole che tramonta) ed i cacciatorpediniere in coda iniziano a stendere cortine fumogene. Alle 19.28 gli aerosiluranti si avvicinano – le navi più esterne accendono i proiettori –, alle 19.30 vi è una nuova accostata per conversione (rotta assunta 300°) e sei minuti dopo tutti i cacciatorpediniere emettono cortine fumogene ed aprono il fuoco, mentre gli aerei passano all’attacco: alle 19.50 il Pola viene colpito ed immobilizzato da un siluro intorno. Cessato l’attacco, e calato il buio, alle 19.50 si spengono i proiettori ed alle 20.11 cessa l’emissione di cortine fumogene. Alle 20.05 l’ammiraglio Iachino ordina alla XIII Squadriglia di assumere posizione di scorta ravvicinata, mentre la I e la III Divisione si posizionano 5 km rispettivamente a prua ed a poppa della nave ammiraglia. Proprio in quei minuti si scopre che il Pola è stato immobilizzato (dapprima si era ritenuto che l’attacco fosse stato respinto senza danni), ed alle 21.06 la I Divisione invertirà la rotta per andare al soccorso dell’incrociatore colpito. Questa decisione, poi molto discussa, porterà al disastro: la I Divisione verrà infatti sorpresa mentre raggiunge il Pola dalle corazzate britanniche Barham, Valiant e Warspite e sarà annientata, con la perdita di Zara, Pola, Fiume, Alfieri e Carducci oltre che dello stesso Pola (e di oltre 2300 uomini), in quella che rimarrà la peggior sconfitta mai subita dall’Italia sul mare. Dopo la separazione dalla I Divisione, il resto della squadra italiana prosegue con rotta 323° e velocità 19 nodi alla volta di Taranto: la navigazione prosegue senza incidenti sino alle 22.30 quando, in lontananza, vengono avvistate le vampate di artiglierie: le navi italiane assistono alla fine della I Divisione. I bagliori delle ultime esplosioni vengono visti alle 23.55. Il resto della formazione italiana (compreso il Granatiere), inutilmente cercato dalla Forza B (che invece trova il Pola immobilizzato, scambiandolo per la Vittorio Veneto) e da una flottiglia di otto cacciatorpediniere britannici al comando del capitano di vascello Philip Mack fin dopo mezzanotte, assume alle 9.08 del 29 marzo rotta 343° (mettendo la prua su Taranto), ed arriva a Taranto poco dopo le 15.30.
A Taranto il Granatiere sbarca quattro uomini feriti dal mitragliamento aereo, due in maniera lieve e due più gravi. Anche la cagnetta di bordo, Lulù, è stata ferita da una scheggia. Quando il 1° aprile il comandante De Pace, insieme al corrispondente di guerra Vero Roberti, visita i feriti all’ospedale San Giorgio, la loro unica domanda è per la corazzata colpita: “La Vittorio è salva?”.
Nella funesta operazione il Granatiere ha dovuto lamentare anche un morto: il marinaio fuochista Antonio Caccioppoli, ventunenne, di Vico Equense, deceduto a bordo il 29 marzo.
23 aprile 1941
Dopo aver preso parte all’occupazione dell’isola di Lissa, ha un’avaria e rientra a Brindisi scortato dal gemello Bersagliere.
19 maggio 1941
Lascia Palermo per dare scorta indiretta, unitamente a Bersagliere, Alpino, Duca degli Abruzzi e Garibaldi, ad un convoglio composto dai mercantili Preussen, Sparta, Capo Orso, Motia e Castelverde e dalle navi cisterna Superga e Panuco (il 26.Seetransport Konvoi) partito da Napoli alle 18.30 del 16 con la scorta dei cacciatorpediniere Turbine, Euro, Folgore, Fulmine e Strale.
20 maggio 1941
Alle 9.32 il sommergibile britannico Urge avvista la forza di copertura di cui fa parte il Granatiere (una quarantina di miglia a nordovest di Lampedusa), ed alle 9.47 individua anche il convoglio, in posizione 35°44’ N e 11°59’ E; passa all’attacco lanciando quattro siluri contro il Capo Orso ma non lo colpisce, e subisce poi il contrattacco della scorta, che lancia dieci bombe di profondità.
21 maggio 1941
All’una del pomeriggio l’Urge avvista nuovamente, in posizione 35°42’ N e 12°24’ E (al largo di Lampedusa), la formazione cui appartiene il Granatiere, ed alle 13.04 lancia quattro siluri da 5500 metri: due delle armi passano vicino all’Alpino, ma nessuna colpisce. Uno dei cacciatorpediniere contrattacca con tredici bombe di profondità.
Lo stesso giorno, alle 11.00, il convoglio arriva indenne a Tripoli, ed il Granatiere rientra a Palermo.
2-4 giugno 1941
Lascia Palermo insieme Duca degli Abruzzi, Garibaldi, Bersagliere, Fuciliere ed Alpino, per dare scorta indiretta al convoglio «Aquitania» (navi da carico Aquitania, Caffaro, Nirvo, Montello e Beatrice Costa, motocisterna Pozarica, scortati dai cacciatorpediniere Dardo, Aviere, Geniere e Camicia Nera e dalla torpediniera Giuseppe Missori) in navigazione da Napoli a Tripoli. Ad una ventina di miglia dalle isole Kerkenah, tuttavia, il convoglio subisce un attacco aereo che provoca la perdita di Montello (saltato in aria con tutto l’equipaggio) e Beatrice Costa (danneggiata in modo irrimediabile e finita dallo stesso Camicia Nera). Il 4 il Granatiere torna a Palermo.

27-29 luglio 1941
Esce da Palermo insieme al Bersagliere ed alla VIII Divisione, composta da Garibaldi e Montecuccoli, come forza di sostegno per otto convogli in mare tra Italia e Libia (in particolare del convoglio «Ernesto», partito da Tripoli alle 7.00 del 27 e con arrivo previsto a Napoli alle 3.10 del 30). Alle 19.40 del 28 luglio il sommergibile britannico Upholder avvista la formazione (in navigazione a 28 nodi con rotta stimata 355°) al largo di Marettimo, ed alle 19.51, in posizione 38°04’ N e 11°57’ E, lancia quattro siluri contro il Garibaldi: alle 19.55 l’incrociatore è colpito a prua e riporta seri danni. Alle 20.20 anche il Fuciliere e l’Alpino, distaccati dalla scorta del convoglio «Ernesto», raggiungono il danneggiato Garibaldi. L’incrociatore, con le siluranti della scorta, arriva a Palermo alle 6.30 del 29.

26-29 settembre 1941
Granatiere (sempre caposquadriglia), Bersagliere, Fuciliere e Gioberti (quest’ultimo aggregato temporaneamente alla XIII Squadriglia) prendono il mare da Napoli unitamente alle navi da battaglia Littorio e Vittorio Veneto (IX Divisione) ed alla XVI Squadriglia (Folgore, Da Recco, Pessagno) per raggiungere ed attaccare un convoglio britannico diretto a Malta e scortato dalla Forza H britannica con tre corazzate ed una portaerei, oltre a cinque incrociatori e 18 cacciatorpediniere (operazione britannica «Halberd»). Partono anche la III (Trento, Trieste, Gorizia) e la VIII Divisione (Duca degli Abruzzi, Attendolo) rispettivamente da Messina e La Maddalena, accompagnate rispettivamente dalla XII (Lanciere, Carabiniere, Corazziere, Ascari) e dalla X Squadriglia Cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Scirocco). A mezzogiorno del 27 la III, la VIII e la IX Divisione, con le rispettive squadriglie di cacciatorpediniere, si riuniscono una cinquantina di miglia ad est di Capo Carbonara, per intercettare il convoglio, poi dirigono verso sud a 24 nodi per l’intercettazione. Risultando però – in seguito alle segnalazioni dei ricognitori – in inferiorità rispetto alla forza britannica, e per giunta sprovvista di copertura aerea, la squadra italiana alle 14.30 inverte la rotta per portarsi fuori dal raggio degli aerosiluranti nemici. Alle 15.30 sopraggiungono tre caccia italiani FIAT CR. 42 assegnati alla scorta aerea, ma, per via della loro somiglianza agli aerosiluranti britannici (sono anch’essi biplani), vengono inizialmente scambiati per aerei inglesi ed il Fuciliere ne abbatte il capo pattuglia, mentre gli altri due si allontanano. Il pilota dell’aereo, fortunatamente, rimane illeso e può paracadutarsi, venendo poi recuperato dal Granatiere. Alle 17.18, avendo ricevuto comunicazioni secondo cui la squadra britannica avrebbe subito pesanti danni a causa degli attacchi aerei, la formazione italiana dirige nuovamente verso sud (prima stava procedendo verso nord), salvo invertire nuovamente la rotta alle 18.14, portandosi al centro del Mar Tirreno. Alle otto del mattino del 28 le navi italiane, come ordinato, raggiungono un punto 80 miglia ad est di Capo Carbonara, poi fa rotta per ovest-sud-ovest ma infine, alle 14.00, dato che i ricognitori non trovano più alcuna nave nemica a sud ed ad ovest della Sardegna (il convoglio è infatti passato) viene ordinato il rientro alle basi. Il Granatiere arriva a Napoli, con la IX Divisione ed il resto della XIII Squadriglia, nella mattina del 29.

8 ottobre 1941
Alle 22.20 parte da Napoli insieme a Bersagliere, Fuciliere ed Alpino (cui poi si aggrega l’anziana torpediniera Generale Antonio Cascino partita da Trapani), di scorta al convoglio «Giulia» (navi da carico Giulia, Bainsizza, Zena e Casaregis, nave cisterna Proserpina) diretto a Tripoli. Il Bainsizza deve rientrare a Trapani per avarie, al pari del piroscafo Nirvo, partito insieme alla Cascino e che non è neanche riuscito ad aggregarsi al convoglio. Il convoglio procede a 9 nodi scortato, di giorno, da aerei della Regia Aeronautica.


Il cacciatorpediniere in bacino di carenaggio (Coll. Guido Alfano via Marcello Risolo)


10 ottobre 1941


Alle 22.25, a seguito della decifrazione dei messaggi italiani da parte dell’organizzazione britannica “Ultra” (che con intercettazioni dell’8 e del 9 ottobre, cui seguiranno anche altre “postume” l’11 ed il 12, ha indicato orari e porti di partenza e di arrivo, composizione e velocità del convoglio; questo sarà il secondo attacco ad un convoglio italiano causato da “Ultra”, ed il primo di una lunga serie protrattasi con continuità sino al 1943), il convoglio viene attaccato da aerosiluranti britannici Fairey Swordfish dell’830th Squadron della Fleet Air Arm: lo Zena ed il Casaregis vengono colpiti. Lo Zena affonda poco dopo le tre di notte dell’11 nel punto 34°52’ N e 12°22’ E; si tenta di prendere a rimorchio il Casaregis, ma il tentativo è vanificato dall’incendio scoppiato a bordo, e la nave alla deriva deve essere finita dalle unità di scorta a mezzogiorno, affondando in posizione 34°02’ N e 14°42’ E (o 34°10’ N e 12°38’ E).
Le altre navi raggiungono Tripoli alle 16.30 dell’11 ottobre.
8-9 novembre 1941
Alle 12.35 dell’8 Granatiere, Bersagliere, Fuciliere ed Alpino e la III Divisione (Trento e Trieste) lasciano Messina per assumere la scorta indiretta del convoglio «Beta» (poi divenuto più noto come convoglio «Duisburg», e composto dalle navi da carico Duisburg, San Marco, Sagitta, Maria e Rina Corrado, navi cisterna Minatitlan e Conte di Misurata, con un carico complessivo di 34.473 t di materiali, 389 autoveicoli e 243 militari), in navigazione alla volta di Tripoli con la scorta diretta dei cacciatorpediniere Maestrale, Grecale, Fulmine, Euro, Libeccio ed Alfredo Oriani.
Nella notte tra l’8 ed il 9 novembre, circa 135 miglia a levante di Siracusa, il convoglio viene attaccato (alle 00.57 del 9) dalla Forza K britannica (incrociatori leggerei Aurora e Penelope e cacciatorpediniere Lance e Lively): tutti i trasporti ed il Fulmine sono affondati, il Grecale pesantemente danneggiato. La III Divisione, con i relativi cacciatorpediniere, al momento dell’attacco sta procedendo alla velocità di dodici nodi a poppavia ed ad est (sulla dritta) del convoglio, ad una distanza di tre miglia (5 km), avvista la Forza K alle 00.59 ed i due incrociatori pesanti aprono il fuoco tra all’1.03, da 9800 metri; le unità italiane accostano subito a dritta per 240°, poi assumono rotta 180° all’1.09 ed all’1.26 invertono la rotta verso nord per intercettare la Forza K – che sta aggirando il convoglio in senso antiorario – a poppavia del convoglio (mantenendo per tutta la durata dell’azione un’insufficiente velocità che varia tra i 16 ed i 20 nodi), ma tra l’1.25 e l’1.29 cessano il fuoco (dopo aver sparato 207 colpi da 203 mm e 172 tra granate e proiettili illuminanti da 100 e 120 mm) ad una distanza che ormai è salita a 17.000 metri e, temendo un attacco di aerosiluranti, si allontanano dall’area assumendo all’1.35 rotta verso nordovest, rinunciando così ad intercettare la Forza K. Il Granatiere non ha sostanzialmente ruolo nello scontro. Il mattino successivo, alle 11.08, il sommergibile HMS Upholder, dopo aver affondato il Libeccio, lancia tre siluri anche contro uno dei cacciatorpediniere di scorta della III Divisione in posizione 37°10’ N e 18°37’E, ma le armi non vanno a segno. La III Divisione rientra a Messina alle 22.30 del 9.
21 novembre 1941
Prende il mare e scorta a Messina, unitamente al Garibaldi, ai cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi, Antonio Da Noli, Alpino, Fuciliere, Carabiniere e Corazziere ed alla torpediniera Perseo, il Duca degli Abruzzi, colpito da aerosiluranti e pesantemente danneggiato mentre forniva scorta indiretta nell’ambito di una fallita operazione di traffico (due convogli) verso la Libia.
1 dicembre 1941
Alle 4.37 del 1° dicembre il sommergibile britannico Upholder avvista una formazione composta dagli incrociatori Raimondo MontecuccoliEmanuele Filiberto Duca d’Aosta e Muzio Attendolo (la VII Divisione) scortati da Granatiere, BersagliereFuciliere ed i gemelli Aviere e Geniere in posizione 39°08’ N e 17°31’ E, ed alle 5.01 lancia quattro siluri contro uno degli incrociatori, senza colpirlo. La formazione, che non ha nemmeno notato l’attacco, arriva a Taranto alle 11.20 del 1° dicembre.
9 dicembre 1941
Il Granatiere, il Bersagliere, il Fuciliere e l’Alpino, in navigazione di trasferimento da Taranto a Napoli, vengono avvistati alle 5.39 (dopo che i loro rumori sono stati rilevati dall’idrofono alle 5.30), in posizione 37°42’ N e 15°49’ E, dal sommergibile britannico Unbeaten (cui stanno inconsapevolmente andando direttamente incontro). L’Unbeaten prepara i siluri ma, in considerazione della distanza troppo ridotta (che potrebbe far sì che i siluri passino sotto gli scafi senza esplodere), non attacca.
13-15 dicembre 1941
Alle 17.40 dello stesso giorno il Granatiere lascia Taranto (per altra fonte Napoli) insieme al resto della XIII Squadriglia, alle torpediniere Centauro e Clio ed alle corazzate Littorio e Vittorio Veneto (alla formazione si aggregano poi anche i cacciatorpediniere Da Recco, Ugolino Vivaldi, Lanzerotto Malocello, Antonio Da Noli e Nicolò Zeno) per dare appoggio all’operazione «M 41», che vede l’invio in Libia di tre convogli con in totale sei trasporti, cinque cacciatorpediniere ed una torpediniera. Il Granatiere, insieme a Bersagliere, Fuciliere, Alpino, Centauro e Clio, scorta le due navi da battaglia. Alle 8.40 del 13 dicembre la formazione, che procede verso sud a 17 nodi attraverso lo stretto di Messina, viene avvistata dal sommergibile HMS Urge. Alle 8.58, in posizione 37°52’ N e 15°30’ E (secondo il libro di bordo del sommergibile; per fonti italiane nel punto 37°53’ N e 15°29’ E, comunque una decina di miglia ad ovest/sudovest di Capo dell’Armi) l’Urge lancia quattro siluri contro la Vittorio Veneto: la corazzata viene colpita e riporta gravi danni, con 40 morti a bordo. Nella successiva mezz’ora i cacciatorpediniere contrattaccano lanciando infruttuosamente una quarantina di cariche di profondità. La corazzata deve rientrare a Taranto, e gli attacchi subacquei provocano il fallimento dell’operazione, con l’affondamento anche delle moderne motonavi Fabio Filzi e Carlo Del Greco (da parte dell’HMS Upright) ed il rientro in porto delle restanti navi.

La prima battaglia della Sirte e la collisione con il Corazziere

Il 16 dicembre il Granatiere, al comando del capitano di fregata Giuseppe Gregorio, lasciò Taranto insieme ai cacciatorpediniere Bersagliere, Corazziere, Fuciliere, Carabiniere, Alpino, Oriani, Gioberti ed Usodimare, a Trento e Gorizia ed alle corazzate Giulio Cesare, Andrea Doria e Littorio per fornire sostegno all’operazione «M 42», che prevede l’invio in Libia di quattro mercantili (Vettor Pisani, Monginevro, Napoli ed Ankara, che trasportano 14.770 t di materiali e 212 uomini) scortati da sette cacciatorpediniere (Saetta, Vivaldi, Malocello, Da Recco, Da Noli, Pessagno e Zeno) ed una torpediniera (la Pegaso), divisi in due convogli (Ankara, Saetta e Pegaso dirette a Bengasi come convoglio “N”, le altre unità dirette a Tripoli come convoglio “L”). L’operazione fruiva anche di scorta aerea assicurata dalla Regia Aeronautica e dalla Luftwaffe e di una forza navale di copertura ravvicinata (Duilio, Duca d’Aosta, Attendolo, Montecuccoli, Ascari, Aviere e Camicia Nera). Nel tardo pomeriggio del 17 dicembre il gruppo «Littorio» si scontrò con la scorta di un convoglio britannico diretto a Malta in un breve ed inconclusivo scambio di colpi chiamato prima battaglia della Sirte: le navi italiane, che procedevano in linea di fila verso sud per intercettare un convoglio britannico diretto a Malta, avvistarono al traverso quelle britanniche alle 17.23 ed accostarono ad un tempo verso ovest, aprendo il fuoco da grande distanza (le navi maggiori) mezz’ora più tardi. Le navi britanniche (in netta inferiorità) simularono un contrattacco con gli incrociatori leggeri Aurora, Penelope, Naiad ed Euryalus e 10 cacciatorpediniere, avvicinandosi ed aprendo il fuoco, e la X e XIII Squadriglia Cacciatorpediniere vennero inviate al contrattacco silurante, sparando anche sulle navi nemiche con tutti i pezzi. Calato poi il buio, le siluranti vennero richiamate. Già alle 17.59 le navi maggiori italiane cessarono il fuoco, seguite, alle 18.10, dalle unità sottili. Lo scontro ebbe così termine in un nulla di fatto, perché l’ammiraglio Iachino, temendo – a torto, in seguito ad errate informazioni della ricognizione aerea – la presenza in mare di almeno una corazzata britannica, decise di non portare a fondo l’attacco.
Intorno alle sei del mattino del 18 dicembre il Granatiere, per un errore di manovra, entrò in collisione con il Corazziere durante una manovra ad alta velocità: le due unità si distrussero a vicenda la prua. Il Granatiere fu, tra i due cacciatorpediniere, quello danneggiato più gravemente: l’intera prua venne asportata sin quasi all’altezza del paraonde. 
Tre membri dell'equipaggio del cacciatorpediniere morirono nella collisione: il sergente cannoniere Salvatore Carrus (di 27 anni, da Santa Giusta), il sottocapo cannoniere Angelo Rebagliati (di 22 anni, da Borghetto di Borbera) ed il marinaio Pietro Scandurra (di 21 anni, da Acireale).
Grazie alla tenuta delle paratie, il Granatiere rimase a galla; dopo aver tagliato i pezzi di lamiera sporgenti con la fiamma ossidrica, la nave dovette essere rimorchiata a Navarino da un rimorchiatore tedesco.


Una rappresentazione del Granatiere con la prua asportata dopo la collisione  (foto tratta da http://www.cr.piemonte.it/cms/images/stories/mostre/pdf/2013/catalogo_piemonte_marina.pdf)

Un ex voto a Santa Rita da parte di alcuni sopravvissuti alla collisione del 18 dicembre 1941, nel Santuario di Santa Rita a Torino (foto tratta da http://www.gerenzanoforum.it/poesia/battaglia_matapan.htm)

Alle 10.22 del 23 dicembre, durante la sosta forzata nel golfo di Navarino, il Granatiere venne attaccato dal sommergibile HMS Torbay (che si trovava a due miglia per 247° dal faro di Pilo) con il lancio di un siluro, ma fu mancato. Terminate le riparazioni provvisorie a Navarino il cacciatorpediniere raggiunse Taranto, dove il mozzicone contorto della prua venne demolito, e fu costruita una nuova prua.

In conseguenza dei gravissimi danni, il Granatiere rimase in riparazione per dieci mesi, non avendo così modo di partecipare a tutte le operazioni e battaglie aeronavali del 1942. Nel corso dei lavori, la nave venne anche ammodernata, con l’eliminazione dell’obice illuminante da 120 mm e delle 12 mitragliere contraeree da 13,2/76 mm e l’installazione di quattro mitragliere Breda 1935 da 20/65 mm, due in un impianto binato collocato al posto dell’obice (sulla tuga centrale) e due in impianti singoli a puntamento libero, sistemati a poppa (nonché di due lanciabombe di profondità). I lavori si conclusero solo nel settembre 1942.

10 novembre 1942
Alle 6.10 ed alle 6.11 Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino ed il gemello Camicia Nera, mentre scortano Garibaldi, Duca d’Aosta e Duca degli Abruzzi in navigazione da Navarino ad Augusta, vengono avvistati dai sommergibile britannici Una ed Utmost una quindicina di miglia ad est di Augusta. Alle 6.33, in posizione 37°11’ N e 15°30’ E, l’Una lancia quattro siluri contro la nave in coda alla formazione, ed alle 6.37, in posizione 37°16’ N e 15°31’ E, anche l’Utmost lancia quattro siluri contro uno degli incrociatori, ma nessuna delle armi va a segno.
15 novembre 1942
Alle 22.15 Granatiere e Bersagliere salpano da Taranto per scortare la grossa motonave cisterna Giulio Giordani, carica di 7400 tonnellate di carburante e 35 di lubrificanti: questa nave rappresenta l’ultimo tentativo di inviare in Libia una nave cisterna, essendo ormai divenute queste navi, per la natura dei loro carichi (di maggiore importanza), bersagli (e vittime) preferiti degli attacchi nemici. (Secondo Aldo Cocchia nel suo libro di memorie “Convogli”, alla nave, che aveva un carico tanto vitale, era stata data una così ridotta scorta proprio per non dare nell’occhio). Ma le forze britanniche sono già state allertate da “Ultra”, e concentrano tutti i loro attacchi sulla Giordani.
17 novembre 1942
Alle 20 (per altra fonte alle 22) il convoglio viene assalito da aerosiluranti britannici a nord di Misurata. Illuminati dai bengalieri, il Bersagliere ed il Granatiere fanno tutto il possibile per nascondere la Giordani stendendo cortine fumogene, aprendo inoltre il fuoco in un intenso tiro contraereo, ma due siluri vanno a segno, e l’ultima speranza di rifornire di carburante la Libia si trasforma in un relitto divorato dalle fiamme; inutili i tentativi di salvataggio (gli ordini sono “Tentate con ogni mezzo salvataggio petroliera”), il relitto della Giordani viene finito con un siluro dal sommergibile britannico Porpoise ed affonda in posizione 32°58’ N e 15°38’ E.                                                                                                                  
Granatiere e Bersagliere non possono far altro che soccorrere i superstiti e tornare in porto. Il Granatiere raccoglie i comandanti militare e civile della Giordani (il capitano di corvetta Antonio Biondo ed il capitano Fortunato Pratovich) ed altri 34 sopravvissuti (in tutto 14 italiani, compresi i due comandanti, e 22 tedeschi), uno dei quali (un tedesco) morirà per le ferite.
Successivamente il Granatiere svolge altre missioni tra la Sicilia ed il Nordafrica, tra cui una di trasporto da Messina a Biserta di 250 militari tedeschi, durante la quale evita di finire su quattro mine, avvistate per tempo.

Il Granatiere ormeggiato a Messina alla fine del 1942; in secondo piano l’incrociatore pesante Gorizia (da “Le navi del re. Immagini di una flotta che fu” di Achille Rastelli, via Marcello Risolo e www.naviearmatori.net)

Il bombardamento di Palermo

Dopo appena sei mesi dal suo ritorno in servizio, il Granatiere venne nuovamente messo fuori uso per un lungo periodo. Il 22 marzo 1943, infatti, il cacciatorpediniere, ancora al comando del capitano di fregata Gregorio, si venne a trovare ormeggiato a Palermo quando la città fu oggetto di un pesante bombardamento statunitense. L’incursione, iniziata alle 15.35, fu compiuta da 24 bombardieri della 12th USAAF, aventi come obiettivo il porto e le navi ivi ormeggiate. Alle 17.38, quando il bombardamento ebbe fine, il porto di Palermo era diventato un cimitero: nelle sue acque giacevano i relitti dei piroscafi da carico Volta (che saltò in aria causando danni alla città e vittime tra la popolazione palermitana), Lanusei, Modena, Trentino e Mondovì, delle piccole motonavi Spiga e L 12 Rosa, della motocisterna Labor, della vedetta foranea Franco M., dei rimorchiatori Z 34 Mantova e Fratelli Cichero, dei dragamine ausiliari B 471 S. Pietro II e B 152 Emanuele, dell’affondamine ausiliario M 6 San Giovanni, del motoveliero Vittoria e dei cutter S. Antonino Padre, La Nuova Annunziata, Vittoria e Giuseppina. Altre unità (la motocisterna Baciccia, il piroscafo Todi, la vedetta foranea V 7 Giuseppe Bertolli, i dragamine ausiliari B 197 Madonna di Porto Salvo, DM 41 Libia e B 526 Patriarca San Giuseppe, questi ultimi due portati all’incaglio perché non affondassero) furono danneggiate in modo più o meno grave. Ai 38 morti civili causati dal bombardamento tra la popolazione di Palermo si aggiunse un imprecisato numero di marinai militari, civili e militarizzati.
Il Granatiere non venne colpito direttamente da nessuna bomba, ma fu investito da una pioggia di schegge e dallo spostamento d’aria generato dagli scoppi delle bombe cadute vicine e dall’esplosione di due trasporti carichi di munizioni, tanto violento da accartocciarne le sovrastrutture e da spostare di una decina di metri il cacciatorpediniere ormeggiato, che sbandò. Pesanti furono le perdite tra l’equipaggio: 39 (per altra fonte 42) uomini del Granatiere rimasero uccisi, ed altri 24 furono feriti. Altri, rimasti illesi, iniziavano a dare segno di squilibrio mentale e cedimento nervoso dopo tre anni di guerra e missioni sempre più pericolose, con ormai l’evidenza della sconfitta. Alcuni membri dell’equipaggio, come il marinaio cannoniere travisano Carlo Bellan, di 22 anni, furono sorpresi dal bombardamento in città e trovarono riparo nei rifugi antiaerei od in sottopassaggi, tornando alla loro nave – attraversando le macerie della città devastata – e trovandola gravemente danneggiata.

Le vittime:

Adolfo Azzarini, marinaio fuochista, deceduto
Giovanni Bellani, marinaio nocchiere, disperso
Francesco Calamaro, marinaio, disperso
Archimede Celestini, marinaio cannoniere, disperso
Giuseppe Civardi, marinaio silurista, disperso
Volmer Contini, marinaio cannoniere, disperso
Rino Corini, marinaio meccanico, disperso
Francesco Crespino, marinaio cannoniere, disperso
Mario Del Monaco, marinaio cannoniere, disperso
Veneto Descovich, sergente S.D.T., disperso
Antonio Di Domenico, marinaio nocchiere, disperso
Ugo Eseguiti, sottocapo meccanico, disperso
Alfredo Faccini, sergente radiotelegrafista, deceduto
Benito Falliti, marinaio fuochista, disperso
Edoardo Gagliani, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Gagliazzi, capitano del Genio Navale, disperso
Giuseppe Garilli, marinaio cannoniere, deceduto
Tommaso Ghiglione, marinaio cannoniere, disperso
Raffaele Iorio, marinaio nocchiere, disperso
Giuseppe Izzo, sottocapo silurista, disperso
Vittorio Libra, marinaio meccanico, disperso
Ruggero Lionetti, sottocapo meccanico, disperso
Mafuccio Mafucci, marinaio cannoniere, disperso
Antonino Migliore, marinaio nocchiere, disperso
Pietro Ottonelli, marinaio, deceduto
Luigi Passante, marinaio fuochista, deceduto
Vittorio Petrini, marinaio, deceduto
Adelmo Pozzi, sottocapo silurista, disperso
Celso Rebuzzi, sottocapo nocchiere, disperso
Temistocle Renier, marinaio, disperso
Raimondo Riitano, marinaio nocchiere, disperso
Giuliano Roselli, sottocapo cannoniere, disperso
Luigi Salerno, marinaio cannoniere, disperso
Sigismondo Tagliavini, sergente silurista, disperso
Mario Trentarossi, marinaio cannoniere, disperso
Giovanni Trevisan, marinaio nocchiere, disperso
Calogero Vaccaro, secondo capo cannoniere, disperso
                             Giuseppe Venturi, capo meccanico di seconda classe, disperso                            Raffaele Visciano, marinaio nocchiere, disperso



Due impressionanti immagini delle strutture del Granatiere deformate dopo il bombardamento del 22 marzo 1943: in alto il fumaiolo, in basso la stazione di direzione del tiro principale. Le foto sono state scattate a Taranto nel maggio 1943, poco prima dell’inizio dei lavori di riparazione (g.c. STORIA militare)


Il Granatiere dovette essere nuovamente portato a Taranto per le riparazioni, arrivandovi il 15 aprile e rimanendovi sino all’ottobre 1943, dopo l’armistizio tra l’Italia e gli Alleati. Nel corso di questi lavori il complesso lanciasiluri triplo da 533 mm di poppa venne eliminato e sostituito con due mitragliere contraeree da 37/54 mm Breda 1939, e venne installato anche un ecogoniometro. Vennero anche imbarcate quattro o cinque altre mitragliere singole Breda 1940 da 20/65 mm. Nell’agosto 1943, mentre ancora la nave era ai lavori, ne assunse il comando il CF Marcello Pucci Boncambi, che l’avrebbe lasciata nel dicembre 1943.
Solo il 15 ottobre 1943 i lavori ebbero termine e solo nel novembre 1943 il Granatiere poté ritornare operativo, prendendo poi parte alla cobelligeranza con gli Alleati, durante la quale (e/o nell’immediato dopoguerra) venne adibito all’addestramento al bombardamento controcosta ed in compiti di trasporto truppe e scorta verso l’Africa Settentrionale ed il Mar Rosso.

Gennaio 1944
In previsione di un forzamento della baia di Suda da parte di Mariassalto, il nuovo comando dei mezzi d’assalto della Regia Marina, il Granatiere viene frettolosamente modificato da Maricost per poter trasportare e mettere a mare in dieci minuti al massimo due Motoscafi da Turismo Siluranti Modificati e tre Motoscafi da Turismo Modificati (barchini esplosivi).
19 gennaio 1944
Alle 21.30 lascia Taranto diretto a Tobruk, dove dovrà attendere le circostanze favorevoli per il forzamento di Suda. A bordo sono il capitano di vascello Ernesto Forza, comandante di Mariassalto, e personale tecnico (due sottufficiali e sei sottocapi e marinai). Gli operatori incaricati del forzamento sono il TV Edoardo Longobardi, il STV Mameli Rattizzi, il secondo capo meccanico Italo Mazzoni, il secondo nocchiere Pietro Castelli, il secondo capo nocchiere Demetrio Raffa, il sergente nocchiere Gino Padovan ed il sergente motorista navale Pietro Testini.
21 gennaio 1944
Alle 14 il Granatiere entra a Tobruk. Le previsioni meteo prevedono circostanze avverse al forzamento di Suda, dunque la nave rimase in attesa sino al 30 gennaio, ma non vi sono miglioramenti delle condizioni meteomarine. L’operazione viene rinviata a data da definirsi; non sarà più tentata.
2 maggio 1944
Il Granatiere ed il cacciatorpediniere Alfredo Oriani attaccano, al largo di Antivari, le motosiluranti tedesche S 30 e S 61 ed i motodragamine R 38, R 178, R 185 e R 190. Le sei unità tedesche, dirette in Mar Egeo, sono costrette al rientro.
Dicembre 1944
Rileva il sommergibile Zoea nel rimorchio del sommergibile jugoslavo Nebojsa, colto da un’avaria, durante la navigazione di trasferimento da Haifa a Taranto. Rimorchia il Nebojsa a Tobruk.

La nave a Venezia, con la colorazione a due toni di grigio in uso nel periodo 1944-1951 (g.c. Marcello Risolo)

27-28 dicembre 1944
Ormeggiato ad Augusta per una pausa tra le numerose missioni, il Granatiere viene informato dell’SOS inviato dal piroscafo jugoslavo Kumanov, in procinto di affondare in una tempesta nel canale di Sicilia, e viene inviato al suo soccorso. All’imbrunire, con mare forza 8 in aumento e vento a 140 km/h, il Granatiere avvista il Kumanov sbandato, con zattere e scialuppe in mare. Il forte rollio e beccheggio causato dalla tempesta, le cui onde impediscono persino di aprire i boccaporti, costringono gli stessi uomini del Granatiere, assegnati al gruppo di salvataggio, a legarsi saldamente alla nave (dopo essere usciti in coperta a poppa nei momenti in cui questa viene alzata dalle onde, aggrappandosi alle colonnine di ferro) per non essere trascinati in mare. Il cacciatorpediniere riesce a trarre in salvo 30 naufraghi, mentre il comandante del Kumanov segue la sorte della sua nave. Il Granatiere riceve l’ordine di rientrare a Siracusa (ad Augusta vi è infatti il pericolo di urtare delle mine), dove viene accolto dalle sirene suonate dalle navi in rada, e dagli applausi per il salvataggio compiuto.
1946
Lavori di grande rimodernamento. Il complesso binato prodiero da 120 mm viene sostituito con un pezzo singolo dello stesso calibro, per ridurre il peso. 

Il Granatiere transita nel canale navigabile di Taranto negli anni ’50 (g.c. Stefano Cioglia).

9 maggio 1946
Alle 19.40 il Granatiere, insieme all’Artigliere (ex Camicia Nera), lascia Posillipo scortando l’incrociatore Duca degli Abruzzi, avente a bordo Vittorio Emanuele III (nonché la moglie Elena del Montenegro e cinque persone del seguito), diretto in esilio dopo l’abdicazione. Il Granatiere è stata la prima nave a portarsi davanti a Posillipo, alle 18, un’ora prima del Duca degli Abruzzi, e lascia il porto per primo. Le navi raggiungono Alessandria d’Egitto, scelta da Vittorio Emanuele III per l’esilio.
1947
Il Granatiere è una delle poche navi lasciate alla Marina Militare italiana (non più regia) dal trattato di pace. 
1948-1949
Lavori di rimodernamento.

Il Granatiere in uscita dal Mar Piccolo Taranto nell’estate del 1949, seguito dal Grecale e dalla torpediniera Orsa (Foto De Pace di Taranto, Collezione Maurizio Brescia, via Associazione Venus)

(g.c. Marcello Risolo)

1949
Assegnato alla I Squadriglia Cacciatorpediniere (insieme a Carabiniere e Grecale, unici altri due cacciatorpediniere moderni rimasti all’Italia dopo il trattato di pace) della ricostituita Squadra Navale.
Aprile 1950-Marzo 1952
Lavori di rimodernamento e trasformazione in nave scorta veloce antisommergibile. Il nuovo armamento risulterà composto da un impianto binato scudato da 120/50 mm Ansaldo 1936 (sulla tuga di poppa), un impianto scudato singolo da 120/50 mm Ansaldo 1940 (sul castello), tre mitragliere binate da 40/56 mm Bofors Mk 1 (sistemate sul casotto centrale ed a poppavia del fumaiolo), due mitragliere singole da 20/65 mm Breda 1940, un impianto lanciasiluri trinato da 533 mm, un lanciatore antisommergibili Hedgehog a 24 canne e due lanciabombe di profondità modello “M” (a poppavia dell’alberetto di poppa). Lo scafo viene allungato di tredici metri verso poppa (il ponte di castello), la murata rialzata nella stessa area, vengono ricostruite le sovrastrutture (con plancia, stazione di direzione del tiro e C.O.C., Centrale Operativa di Combattimento, con T.T.N. – tavolo tattico navale – e T.S.A.G. dove vengono raccolte e riunite le informazioni provenienti da radar, sonar ed altri sensori, nonché Tactical Range Recorder ed Anti Submarine Atack Plotter, strumentazioni elettroniche per la ricerca e caccia antisom). Vengono installati un ecogoniometro di fabbricazione statunitense tipo “QGB”, un radar per la navigazione e la scoperta di superficie e un radar per la scoperta aeronavale tipo “AN/SPS 6”.  La velocità (rispetto ai 34-35 nodi effettivi di prima della guerra) è diventata di 31 nodi. (Altre fonti datano questi lavori al 1953-1954).

Il Granatiere a Taranto dopo i lavori di rimodernamento, nella primavera 1952, ancora privo del radar AN/SPS-6. (Foto Aldo Fraccaroli, da “La Marina italiana – Quarant’anni in 250 immagini”, supplemento al n. 6 della Rivista Marittima del giugno 1988, via Marcello Risolo)

Il Granatiere dopo i lavori del 1950-1952, ma ancora sprovvisto del radar AN/SPS-6 (da “Le nostre navi” dell’Ufficio Documentazione della Marina Militare, gennaio 1958, via Marcello Risolo).

Marzo 1953
Con l’ingresso dell’Italia nella NATO, la vecchia sigla identificativa GN viene sostituita con D 550.

Ancora il Granatiere a Taranto dopo i lavori (e con la nuova sigla D 550) e prima dell’installazione del radar (g.c. Marcello Risolo).

26 ottobre 1954
Il Granatiere, insieme ai cacciatorpediniere Artigliere (non l’ex Camicia Nera bensì un cacciatorpediniere ceduto all’Italia dell’US Navy) e Grecale ed all’incrociatore Duca degli Abruzzi, è tra le navi da guerra inviate a Trieste per celebrare il ritorno della città giuliana all’Italia dopo gli anni incerti del “territorio libero”. La folla euforica sciama a bordo delle quattro navi per festeggiare.

Il Granatiere nel 1955 (g.c. sito Associazione Nazionale Granatieri di Sardegna)

La nave entra nel Grand Harbour di Malta negli anni ’50 (g.c. Stefano Cioglia)

Inizio 1956
Posto in riserva a Taranto.
Aprile 1957
Riclassificato come fregata.

Il cacciatorpediniere a Venezia negli anni Cinquanta (g.c. Marcello Risolo)

Ancora un’immagine della nave dopo i lavori di trasformazione (tratta da http://fotonavimilitari.blogspot.it/2012/05/cacciatorpediniere-d550-granatiere.html).

1958
Messo in disarmo.
1° luglio 1958
Radiazione.
1960

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