giovedì 9 ottobre 2014

Giovanni Acerbi


L’Acerbi con l’equipaggio al posto di manovra (da www.marina.difesa.it)

Torpediniera, già cacciatorpediniere, della classe Sirtori (790 tonnellate di dislocamento in carico normale, 850 t a pieno carico).

Breve e parziale cronologia.

2 febbraio 1916
Impostazione nei cantieri Odero di Sestri Ponente.
14 febbraio 1917
Varo nei cantieri Odero di Sestri Ponente.
26 febbraio 1917
Entrata in servizio.
15 maggio 1917
Alle 5.36 l’Acerbi (capitano di corvetta Guido Vannutelli) lascia Brindisi insieme ad un altro cacciatorpediniere, il Simone Schiaffino, scortando l’incrociatore leggero britannico Dartmouth, nave di bandiera del contrammiraglio italiano Alfredo Acton, comandante delle forze navali leggere dell’Intesa dislocate a Brindisi. Alle 3.48, infatti, è giunto a Brindisi un messaggio della stazione di vedetta dell’isola albanese di Saseno, dicente che un convoglio italiano in navigazione lungo la costa albanese, formato dai piroscafi Bersagliere, Carroccio e Verità scortati dal cacciatorpediniere Borea, è stato attaccato da cacciatorpediniere austroungarici (lo Csepel ed il Balaton).
È infatti in corso un’incursione nel canale d’Otranto da parte di una formazione navale austroungarica: oltre a Csepel e Balaton, la cui azione – che porterà all’affondamento di Borea e Carroccio ed al danneggiamento delle altre due navi del convoglio – costituisce solo un diversivo, sono in mare anche gli esploratori Saida, Helgoland e Novara, che alle 3.30 hanno attaccato i pescherecci britannici addetti alle reti antisommergibile dello sbarramento del canale d’Otranto – obiettivo principale dell’operazione – affondandone ben quattordici entro le 4.57.
Sul luogo dell’attacco al convoglio italiano si sono già diretti, a seguito delle segnalazioni giunte da Saseno e degli ordini dell’ammiraglio Acton, l’esploratore leggero Carlo Mirabello ed i cacciatorpediniere francesi Commandant Rivière, Bisson e Cimiterre, che si trovavano già in mare nell’ambito del dispositivo interalleato di sorveglianza del canale d’Otranto. Acton ha ordinato inoltre che tutte le navi pronte in 30, 60 e 90 minuti presenti a Brindisi escano in mare – il che ha portato alle 4.50 alla partenza dell’incrociatore leggero britannico Bristol con i cacciatorpediniere italiani Antonio Mosto e Rosolino Pilo –, per poi imbarcarsi a sua volta sul Dartmouth ed uscire scortato da Acerbi (che già alle 3.30 risultava pronto a partire in mezz’ora, avendo già le caldaie accese) e Schiaffino. Ha così inizio la battaglia del canale d’Otranto. Le formazioni guidate da Bristol e Dartmouth si riuniscono tra le 6.56 e le 7.12, poi ricevono l’ordine di dirigere a 24 nodi verso il Golfo del Drin.
Alle 7.10, intanto, il gruppo «Mirabello» ha incontrato i tre esploratori austroungarici, dando inizio ad uno scambio di colpi cessato per l’aumentare della distanza tra i due gruppi (le navi avversarie, infatti, avendo completato la missione, stanno rientrando alla propria base di Cattaro, cercando quindi di sfuggire alle forze dell’Intesa). Il contrammiraglio Acton, venuto così a sapere della posizione delle navi nemiche, dirige per intercettarle con tutta la formazione al suo comando (Dartmouth, Bristol, Acerbi, Schiaffino, Mosto, Pilo e l’esploratore Aquila, partito da Brindisi alle 6 ed unitosi alla formazione alle 7.40) procedendo a 24 nodi, il massimo permesso dalla lentezza del Bristol, rallentato dalla propria carena sporca. Alle 7.30 la formazione di Acton viene frattanto avvistata da un idrovolante austroungarico, che ne comunica la posizione.
Alle 7.45 le navi del gruppo «Dartmouth» avvistano a poppa dritta, con rotta 035º e velocità di 24 nodi, i fumi prodotti da due navi nemiche nemiche: sono lo Csepel ed il Balaton, che, completato l’attacco al convoglio e sulla via del ritorno, hanno già avvistato da dieci minuti i fumi del gruppo navale italo-franco-britannico ed hanno conseguentemente cambiato rotta facendo rotta a 29 nodi verso Dulcigno. Le unità di Acton, credendo che si tratti degli esploratori austroungarici e che la posizione segnalata dall’idrovolante fosse sbagliata, accostano subito per intercettarli, ma alle 9.01 si rendono conto che si tratta di due cacciatorpediniere classe Tatra. Alle 8.10 inviato l’Aquila, più veloce (procede a 35-36 nodi), seguito a dritta da Mosto e Schiaffino ed a sinistra da Acerbi e Pilo, viene inviato in testa alla formazione italiana, all’attacco di Csepel e Balaton; alle 8.15 l’Aquila apre il fuoco da 11.400 metri. Intanto, Bristol e Dartmouth manovrano in modo da tagliare ai due cacciatorpediniere nemici la via della ritirata verso Cattaro. Lo scontro prosegue senza risultati (salvo alcuni colpi a segno sul Balaton) finché, alle 8.30, l’Aquila stesso viene immobilizzato da un proiettile del Csepel, dopo di che le due unità austroungariche approfittano dell’accaduto per aumentare le distanze con i solo inseguitori, cercando di portarsi sottocosta, sotto la protezione delle batterie costiere. L’Acerbi è l’unico, tra i quattro cacciatorpediniere presenti, a non proseguire nell’inseguimento: Pilo e Mosto, superato a 30 nodi l’immobilizzato Aquila, aprono il fuoco alle 8.40 da 10.000 metri, ed alle 9 anche lo Schiaffino, sopraggiunto, inizia a tirare sulle due unità avversarie. Proprio alle 9, però, quando la distanza tra Mosto-Pilo e Csepel-Balaton è scesa a 7500 metri, aprono il fuoco sulle navi italiane anche le batterie costiere, ed i due cacciatorpediniere austroungarici riescono a porsi in salvo, cessando il fuoco alle 9.05 (le batterie costiere cesseranno a loro volta il fuoco alle 9.10). Alle 9.18 l’ammiraglio Acton richiama Mosto, Pilo e Schiaffino, tutti indenni, essendo ormai inutile proseguire l’azione; le tre unità dirigono verso l’Aquila ancora fermo.
Nel frattempo, alle 8.35 sono partiti da Brindisi anche l’esploratore Marsala, l’esploratore leggero Carlo Alberto Racchia ed i cacciatorpediniere Impavido, Indomito ed Insidioso, che procedono prima a 25 e poi a 26,5 nodi per riunirsi al gruppo «Dartmouth». Alle 8.45 il capitano di vascello Miklós Horty, comandante della formazione austroungarica imbarcato sul Novara, avvista del fumo a dritta e, ritenendo essere Csepel e Balaton in avvicinamento, dirige verso di loro. Sono in realtà le navi italiane: alle 9.05 le due formazioni avversarie si avvistano reciprocamente, ed assumono rotta convergente. I propositi dei comandanti sono differenti: Acton intende proteggere l’ancora immobile Aquila, che ritiene essere l’obiettivo delle navi nemiche, mentre Horty crede di essere riuscito a tagliare fuori un gruppo di unità leggere nemiche nei pressi di una base amica – Cattaro – ed alle 9.06 segnala rotta e posizione, così che l’incrociatore corazzato Sankt Georg, il cacciatorpediniere Warasdiner e le torpediniere TB 84, 88, 99 e 100, appositamente tenute pronte, escano in mare e taglino la ritirata alle navi dell’Intesa.
Per difendere l’immobilizzato Aquila, intorno alle 9.05 Bristol, Dartmouth, Acerbi e Mosto (questi ultimi due si sono portati a poppavia del Bristol) si interpongono tra esso e gli esploratori nemici, riducendo le distanze. Alle 9.15 Bristol e Dartmouth vengono bombardati da due idrovolanti, senza essere colpiti. Primo ad aprire il fuoco, alle 9.28, da 8500 metri, è l’Aquila, cui il Novara (il suo bersaglio) si è avvicinato tanto da permettergli di usare le proprie artiglierie; alle 9.29 inizia il tiro il Dartmouth (contro il Novara) ed alle 9.30 il Bristol (contro il Saida).
Le navi di Horty dirigono verso nordovest, inseguite da quelle di Acton (che continuano a fare fuoco) ad una distanza compresa tra i 4500 ed i 10.000 metri; in Dartmouth procede in testa alla linea anglo-italiana, il Bristol è più arretrato e sta perdendo terreno, poi viene l’Acerbi ed il Mosto è in coda. L’Acerbi inizia il tiro da 9500 metri, e poi, per iniziativa del comandante Vannutelli, supera il Bristol e si porta a poppavia del Dartmouth. La bassa velocità del Bristol fa però incrementare le distanze tra i gruppi nemici, dai 6000 metri delle 9.45 ai 7400 delle 10, fino agli 880 delle 10.20; si trovano così ad essere i soli Dartmouth ed Acerbi (quest’ultimo è l’unico cacciatorpediniere a trovarsi in posizione adeguata per fare fuoco) a dover combattere con i tre esploratori nemici.
Dopo poco tempo, tuttavia, Saida, Helgoland e Novara accostano verso sud, portandosi fuori tiro, ripiegando verso nordovest (verso Cattaro) a 28 nodi e coprendosi con una cortina fumogena che alle 9.40 costringe Bristol (che ha anche infruttuosamente lanciato un siluro) e Dartmouth a cessare il fuoco ancora una volta, non riuscendo più a vedere i bersagli. Proprio in quel momento, però, i tre esploratori vengono attaccati dal Mirabello, che ha tallonato la formazione austroungarica, colpendo il Novara ed inducendo le unità nemiche ad uscire dalla cortina e così permettendo, alle 9.45, a Bristol e Dartmouth di riaprire il fuoco. Nel successivo scontro, l’Helgoland viene colpito alle 9.50 (dal Bristol) ed alle 10.04 (dal Mirabello e dal Bristol), il Novara alle 9.55 (dal Mirabello) ed alle 10.10 (dal Dartmouth), il Dartmouth alle 10 (dal Novara, due volte). Alle 10.15 il Bristol viene attaccato da un idrovolante che lo costringe a cessare il fuoco, ed il Mirabello viene immobilizzato da un’avaria alle caldaie. Rimane così il Dartmouth a fronteggiare i tre esploratori nemici; Acerbi e Mosto, al di fuori della portata delle artiglierie, sono intenti a cercare lentamente di portarsi a proravia del Dartmouth, mentre Pilo e Schiaffino sono rimasti a difendere l’Aquila, ancora fermo. La distanza tra il Dartmouth e le unità austroungariche, che procedono a più di 29 nodi, sale ancora dagli 8800 metri delle 10.20 ai 9800 delle 10.24; lo scambio di cannonate tra le due parti è intenso, ed il Dartmouth, pur attaccato da idrovolanti alle 10.30 ed alle 10.50 (dovendo manovrare per evitare i mitragliamenti, così disturbando il tiro), alle 10.35, prima di cessare momentaneamente il fuoco, colpisce il Novara un’altra volta; poco dopo il Saida, colto da avaria, deve ridurre la velocità a 25 e poi 24 nodi, divenendo il bersaglio del Bristol, che torna a fare fuoco. Essendo Helgoland e Novara troppo lontani – improbabile raggiungerli – alle 10.45 il Dartmouth riduce la velocità a 20 nodi per ricongiungersi con il Bristol, ed affondare il Saida. Quest’ultimo viene colpito dal Bristol alle 10.50, ma alle 11 anche il Dartmouth, mentre accosta verso sinistra per tagliare fuori il Saida, viene attaccato da un aereo e preso sotto il tiro di tutti e tre gli esploratori, venendo colpito e, nella confusione successiva (incendio a bordo, equivoco che porta a fermare le macchine e subito dopo ordine di riprendere l’andatura normale), riducendo la velocità ed infine dovendo accostare verso sud (allontanandosi dalle navi nemiche), imitato dal Bristol, così rinunciando ad affondare il Saida che può così allontanarsi. Alle 11.04 Bristol e Dartmouth cessano il fuoco e dirigono per ricongiungersi con il gruppo «Marsala».
Alle 11.10, però, l’Acerbi, male interpretando il segnale di riunione issato dal Dartmouth – questi segnala di seguirlo, ma, forse per il fumo che occulta parte delle bandiere da segnalazione, l’Acerbi vede solo la prima, che da sola significa «attaccare la formazione nemica» –, si lancia da solo, forzando le macchine per raggiungere una velocità di 33 nodi, all’attacco dei tre esploratori austroungarici, aprendo alle 11.15 intenso e sostenuto fuoco (definito nel rapporto dell’Helgoland “furioso”) con i due cannoni prodieri da 102/35 mm contro il Saida, da 9500 metri di distanza (l’intento è quello di attaccare con i siluri, cosa che sarebbe possibile con l’appoggio dei due incrociatori britannici, che però non c’è, lasciando l’Acerbi a fronteggiare da solo i tre esploratori). Sebbene preso a sua volta sotto violento fuoco nemico (da parte del Saida e poi anche dell’Helgoland, mentre il Novara si è fermato a causa dei danni subiti nel precedente scontro), l’Acerbi riduce le distanze fino a 9000 e poi 7300 metri; uno dei suoi cannoni si guasta dopo poco tempo, ma il cacciatorpediniere continua a sparare con non minore animosità, tanto che il comandante del Novara, distante 9000 metri ed intorno al quale esplodono le salve dell’Acerbi, parlerà in seguito di “un diluvio di fuoco”. Alle 11.22 un colpo dell’Acerbi centra il Saida tra il quarto fumaiolo e l’albero poppiero, senza però causare molti danni, ma dalle 11.24 il cacciatorpediniere viene inquadrato dal tiro di tutti e tre gli esploratori, pur senza essere colpito. Colto nello stesso momento da avarie ad altri due cannoni, l’Acerbi alle 11.25 è costretto ad allontanarsi senza aver potuto avvicinarsi Abbastanza da poter lanciare i siluri, portandosi prima a 10 e poi ad 11 km di distanza, senza comunque cessare di sparare, e restando in zona per tentare di rimettere in efficienza i cannoni avariati. Allontanandosi, comunque, il comandante Vannutelli può notare che il Novara è fermo con gravi danni e che si sta tentando di prenderlo a rimorchio (dal Saida, contro il quale l’Acerbi sta facendo fuoco dopo aver manovrato in modo da portare in punteria tutti i cannoni di dritta), e lo comunica subito in chiaro all’ammiraglio Acton, continuando poi a riferire via radio al Dartmouth della situazione e mantenendo sulle unità austroungariche un tiro debole (avendo tre pezzi fuori uso) ma costante, mentre il tiro di queste ultime risulta troppo corto per poter colpire la nave italiana, che subisce anche un attacco aereo.
I gruppi «Dartmouth» e «Marsala» si riuniscono entro le 11.30, e, su ordine dell’ammiraglio Acton, si riuniscono e fanno subito rotta verso nord per ritrovare gli esploratori austroungarici, distanti 36 km; alle 11.36 Acton richiama per radio anche l’Acerbi, che alle 11.37 cessa il fuoco – condotto ormai alla massima elevazione – e fa rotta verso sud. Frattanto, alle 11.30, le navi di Horty vengono attaccate dal Racchia e dall’Impavido, distaccati dal loro gruppo ed inviati in avanscoperta in precedenza; questo nuovo scambio di colpi, con distanze che si riducono da 11.000 metri iniziali ai 6000 finali, prosegue per mezz’ora senza alcun risultato, tirando entrambi i contendenti troppo corto.
Alle 12.05 il gruppo italo-franco-britannico di Acton dista 17.500 metri dai tre esploratori austroungarici, ma frattanto è sopraggiunto il Sankt Georg (insieme ai cacciatorpediniere Tatra e Warasdiner), che dista solo 12.000 metri dall’immobilizzato Novara. Dal momento che nessuna delle unità dell’Intesa è in grado di affrontare la potenza di fuoco del Sankt Georg, né di danneggiarlo, e che lo scontro avverrebbe in prossimità di una munita base nemica, Cattaro, alle 12.05 le navi di Acton accostano verso sud per rientrare. Nel frattempo, l’Aquila sta rientrando a Brindisi rimorchiato dallo Schiaffino e scortato da Pilo e Cimiterre, mentre il Mirabello ha preso a rimorchio il Commandant Rivière (anch’esso immobilizzato da un’avaria di macchina) e lo porterà anch’esso a Brindisi scortato dal Bisson e da un altro cacciatorpediniere francese, il Commandant Lucas. Entro le 12.25 italo-franco-britannici ed austroungarici non sono più in vista l’uno dell’altro.
Durante il rientro, la formazione dell’Intesa dovrà subire ancora un colpo: alle 13.35, infatti, il sommergibile tedesco UC 25, camuffato da austroungarico U 89, silura il Dartmouth mentre questi procede a 20-25 nodi insieme all’Acerbi, ai cacciatorpediniere italiani Impavido, Indomito ed Insidioso ed ai cacciatorpediniere francesi Faulx e Casque (questi ultimi si sono aggregati alla formazione poco prima, alle 13). Colpito da un siluro sotto la plancia, sul lato sinistro, il Dartmouth subirà danni tanto gravi da essere inizialmente Abbandonato dall’equipaggio (alle 14.30), subito recuperato dai cacciatorpediniere italiani e francesi (5 uomini sono morti nel siluramento), salvo poi essere rimorchiato in salvo dal rimorchiatore Marittimo grazie ad un gruppo di marinai tornati a bordo, arrivando a Brindisi alle tre di notte.
L’ultima perdita della giornata sarà quella del cacciatorpediniere francese Boutefeu, appena uscito da Brindisi, saltato su una mina pure posata dall’UC 25. Da parte austroungarica, il Novara potrà infine essere rimorchiato in porto nonostante i gravi danni (è stato raggiunto da undici proiettili, contro i tre dell’Helgoland, uno solo del Saida e, da parte nemica, quattro sul Dartmouth e tre sul Bristol).


L’Acerbi durante la prima guerra mondiale (da “Il martirio di Venezia durante la Grande Guerra e l’opera di difesa della Marina italiana” di Giovanni Scarabello)

13-14 agosto 1917
L’Acerbi parte nottetempo da Venezia insieme ai gemelli Vincenzo Giordano Orsini, Giuseppe Sirtori e Francesco Stocco, che con l’Acerbi formano una squadriglia, ad una seconda squadriglia di cacciatorpediniere (Ardente, Audace, Animoso e Giuseppe Cesare Abba) ed alla sezione di cacciatorpediniere Carabiniere-Pontiere, per attaccare una formazione leggera austroungarica (cacciatorpediniere Streiter, Reka, Velebit, Scharfschutze e Dinara e 6 torpediniere) che ha fornito appoggio ad un attacco da parte di 32 aerei contro Venezia, durante il quale è stato colpito l’ospedale di San Giovanni e Paolo e sono rimaste uccise 14 persone, e ferita un’altra trentina. Di tutta la formazione italiana, solo l’Orsini riesce a prendere contatto con le navi nemiche, ma, condotto verso i campi minati nemici, deve rompere il contatto per non finire tra le mine. Il gruppo navale austroungarico, rotto il contatto, rientra alla base senza ulteriori complicazioni.
29 settembre 1917
L’Acerbi lascia Venezia alle 21.45 insieme ad Abba, Stocco ed Orsini, che con esso compongono la squadriglia «Orsini» (c.te Vaccaneo), all’esploratore Sparviero (CV Ferdinando di Savoia-Genova, capo formazione) ed alla squadriglia cacciatorpediniere «Audace» (Audace, Ardente, Ardito) per dare appoggio a dieci velivoli Caproni del Regio Esercito inviati a bombardare Pola, oltre che a seguito dell’avvertimento da parte dei servizi segreti che un’operazione austroungarica è in corso. L’attacco italiano, infatti, è pressoché contemporaneo ad un’analoga iniziativa austroungarica, che vede alcuni idrovolanti effettuare un’incursione su Ferrara, nella quale viene incendiato il dirigibile M 8 della Regia Marina. Anche questo bombardamento fruisce di una forza navale d’appoggio, segnatamente i cacciatorpediniere austroungarici Turul, Velebit, Huszár e Streiter e le torpediniere TB 90F, TB 94F, TB 98M e TB 99M. La formazione italiana viene informata dell’incursione nemica su Ferrara e dirige perciò su Rovigno, con l’intento di intercettare le navi austroungariche che, tornando alla base, dovrebbero verosimilmente passare al largo della cittadina istriana. Alle 22.03 la previsione si rivela esatta, in quanto lo Sparviero avvista navi sconosciute ad una distanza di circa due miglia, ed alle 22.05 entrambe le formazioni, mentre scende la sera, aprono un intenso fuoco da 2000 metri di distanza ed iniziano il combattimento. Per la versione italiana, alle 22.30 le due formazioni, avendo rotte divergenti, perdono il contatto, così ponendo fine allo scontro, salvo riprendere fugacemente contatto alle 22.45, guidati dallo Sparviero, in mezzo ai campi minati (la TB 98M viene colpita con una vittima a bordo), per poi perderlo definitivamente dopo pochi minuti; non vi sono vincitori né vinti. Secondo la versione austroungarica, lo Sparviero subisce seri danni perché colpito cinque volte e lascia la linea di combattimento, e viene colpito anche l’Orsini, dopo di che l’Ardito, seguito da Acerbi e Stocco, taglia la scia della formazione nemica ed apre il fuoco da 1000-2000 metri (lo scontro sarebbe iniziato ad una distanza di circa 3000): viene colpito lievemente l’Huszár, mentre il Velebit incassa diversi colpi, con l’inutilizzazione degli apparati di governo ed un incendio a bordo. L’Acerbi lancia due siluri contro il Velebit mentre questi si ferma e prende fuoco, ma le armi non vanno a segno. Poi le unità italiane cessano il fuoco e si allontanano. Il Velebit viene poi preso a rimorchio dallo Streiter, ma in quel momento arrivano due cacciatorpediniere italiani che serrano le distanze ad un chilometro; questi però si ritirano sotto il fuoco di Streiter, Velebit e delle torpediniere. (Gli orari riferiti da un’altra fonte sono molto differenti, forse basati fu fonti austroungariche: il primo scontro sarebbe cessato alle 00.30, il secondo sarebbe iniziato alle 00.45 protraendosi per pochi minuti).
16 novembre 1917
Acerbi, Animoso, Ardente, Audace, Abba, Stocco ed Orsini escono da Venezia per contrastare il bombardamento navale attuato dalle corazzate costiere austroungariche Wien e Budapest contro le batterie d’artiglieria e posizioni italiane a Cortellazzo (Wien e Budapest, giunte alle 10.35 davanti a Cortellazzo, hanno iniziato il tiro sulle linee italiane; dopo l’immediata reazione delle artiglierie di terra, il contrasto è stato affidato agli aerei, che hanno compiuto tre attacchi; Wien e Budapest cessano il tiro alle 11.52 per non interferire con le proprie truppe di terra, poi si riportarono a tiro alle 13.30, e riaprono il fuoco alle 13.35). I cacciatorpediniere italiani si portano a ponente della zona attaccata e supportarono l'attacco dei MAS 13 e 15, che, insieme agli attacchi aerei ed a quelli effettuati dai sommergibili F 11 e F 13, contribuisce a disturbare il bombardamento navale, sino al ritiro delle due corazzate.
28 novembre 1917
Sirtori, Stocco, Acerbi, Orsini, Animoso, Ardente, Ardito, Abba ed Audace, unitamente agli esploratori Aquila e Sparviero, lasciano Venezia e – in cooperazione con idrovolanti da ricognizione – si mettono a cercare i cacciatorpediniere austroungarici Triglav, Reka e Dinara e le torpediniere TB 78, 79, 86 e 90, che hanno danneggiato un treno e le linee ferroviaria e telegrafica alle foci del Metauro, nonché i cacciatorpediniere Dikla, Streiter ed Huszar e quattro torpediniere che, formando un secondo gruppo, ha attaccato dapprima Porto Corsini e poi Rimini sebbene senza risultati. I due gruppi austroungarici, riunitisi in uno solo, stanno rientrando alle basi, attaccati più volte da idrovolanti. Le navi italiane arrivano in vista di quelle nemiche solo quando ormai si trovano al largo di Capo Promontore, troppo vicino a Pola, principale base delle k.u.k. Kriegsmarine, così che devono lasciar perdere l’inseguimento.

L’Acerbi fotografato presumibilmente nei primi anni della sua carriera (g.c. Aldo Cavallini, via www.naviearmatori.net)

10 febbraio 1918
Acerbi, Sirtori, Stocco, Ardente, Ardito ed Aquila (al comando della formazione – il 1° Gruppo, su un totale di tre previsti per l’operazione –, che per alcune fonti comprende anche il MAS 18, è il CF Piero Lodolo) vengono inviati a Porto Levante (Porto Viro) per dare supporto, qualora necessario, all’attacco di MAS che diverrà famoso come la “beffa di Buccari”. Le unità, su ordine del Comando in Capo di Venezia, si ormeggiano a Porto Levante e rimangono pronte ad intervenire (oppure incrociano in quelle acque a protezione dei MAS), poi incrociano a scopo protettivo in due gruppi (“Aquila” con Aquila, Ardente, Ardito, Acerbi, Sirtori e Stocco e “Animoso” con Animoso, Abba ed Audace), ma non sarà necessario che intervengano.
26 febbraio 1918
L’Acerbi si trova a Venezia quando la città veneta subisce il più pesante bombardamento dell’intero conflitto: 50 bombardieri austroungarici sganciano 200 bombe su Venezia e 22 su Mestre, causando seri danni al patrimonio artistico della città, pur senza provocare perdite umane elevate (un morto). L’Acerbi è una delle due navi che vengono e danneggiate nell’attacco (l’altra è l’esploratore Sparviero).
8-9 aprile 1918
L’Acerbi ed altre siluranti escono in mare nottetempo per fornire supporto ad un tentativo di attacco della base austroungarica di Pola mediante il “barchino saltatore” (silurante) «Grillo», ma l’operazione viene interrotta.
12-13 aprile 1918
Seconda uscita notturna per attaccare Pola con il «Grillo», anch’essa abortita.
6-7 maggio 1918
Altra uscita di notte a supporto di un nuovo tentativo di attacco di Pola con il «Grillo», pure interrotta.
9-10 maggio 1918
Nuovo tentativo notturno d’attacco a mezzo «Grillo» a sua volta cancellato.
11-12 maggio 1918
Ennesima uscita notturna in appoggio ad un altro attacco abortito del «Grillo» contro Pola.
13-14 maggio 1918
Alle 17.30 del 13 Acerbi, Orsini, Sirtori, Stocco, Animoso, le torpediniere costiere 9 PN e 10 PN ed i MAS 95 e 96 (questi ultimi due con il «Grillo» a rimorchio) salpano da Venezia per dare appoggio ad un altro tentativo di attacco del «Grillo»: l’operazione è affidata al CF Costanzo Ciano. I cacciatorpediniere hanno compiti di vigilanza a distanza. Alle 2.18, arrivata la formazione nel punto prestabilito (a 1300 metri dalla diga di Pola), viene mollato il rimorchio, ed alle 3.16 inizia l’attacco del «Grillo»: scoperto, tuttavia, il mezzo d’assalto viene distrutto senza poter far danni, ed il suo equipaggio catturato. I MAS si ritirano illuminati (alle 3.35 ed alle 3.40) dai proiettori, per poi ricongiungersi ai cacciatorpediniere del gruppo di supporto alle 5 del 14 e fare infine ritorno alla base.
1-2 luglio 1918
Acerbi, Orsini, Sirtori, Stocco, Audace ed altri due cacciatorpediniere, il Giuseppe Missori ed il Giuseppe La Masa, danno appoggio a distanza alle torpediniere 64 PN, 65 PN, 66 PN, 40 OS, 48 OS, Climene e Procione (le ultime due d’alto mare, con sola funzione d’appoggio alle altre, costiere) mentre procedono lentamente tra Cortellazzo e Caorle bombardando le linee nemiche, simulando inoltre uno sbarco (con le torpediniere 15 OS, 18 OS e 3 PN che rimorchiano alcuni finti pontoni da sbarco) per distogliere l’attenzione delle forze nemiche e così favorire l’avanzata di quelle italiane. I cacciatorpediniere italiani s’imbattono inoltre negli austroungarici Csikós e Balaton e nelle torpediniere TB 83F e la TB 88F, partite da Pola nella tarda serata del 1° luglio per supportare un’incursione aerea su Venezia e giunte in zona dopo aver superato l’attacco di un MAS (che ha lanciato un siluro contro il Balaton, che ha una caldaia guasta) all’alba del 2 luglio. Le unità italiane avvistano quelle nemiche alle 3.10 ed aprono il fuoco, dopo di che anche le siluranti austroungariche iniziano a sparare: nel breve scambio di colpi le unità nemiche, soprattutto il Balaton, subiscono alcuni danni, ma anche lo Stocco viene colpito, con alcuni morti e feriti tra l'equipaggio ed un incendio a bordo che lo obbliga a fermarsi (dopo aver evitato due siluri con la manovra), ed anche l'Acerbi si deve fermare per fornire aiuto all’unità gemella. Il Balaton, centrato più volte in coperta a prua, si porta in posizione più avanzata, mentre Missori, Audace e La Masa combattono contro il Csikós e le due torpediniere, rimaste indietro: da entrambe le parti si lanciano infruttuosamente siluri, mentre il Csikós viene colpito da un proiettile nel locale caldaie poppiero ed anche le due torpediniere ricevono un colpo ciascuna. Dopo qualche tempo le unità italiane si allontanano per riprendere il loro ruolo, mentre quelle austroungariche tornano a Pola.


L’Acerbi in transito nel canale navigabile di Taranto (da www.marina.difesa.it

3 novembre 1918
Durante l’offensiva finale italiana, un giorno prima dell’annuncio dell’armistizio di Villa Giusti, Acerbi, Orsini, Stocco, Pilo, Audace, Missori, La Masa ed un altro cacciatorpediniere, il Nicola Fabrizi, entrano a Trieste trasportando il generale Petitti di Roreto, il 7° e l’11° Reggimento Bersaglieri ed alcuni membri di reparti speciali.
4 novembre 1918
Acerbi (capitano di corvetta Guido Po), Orsini, Sirtori e Stocco partono in mattinata da Venezia unitamente all’anziana corazzata Emanuele Filiberto (nave ammiraglia del contrammiraglio Rainer, comandante del gruppo) per occupare Fiume. Strada facendo l’Acerbi viene distaccato con il compio di occupare Abbazia, dove arriva a mezzogiorno, sbarcando un plotone di marinai muniti di mitragliatrice ed issando la bandiera italiana sulla sede dell’ex Comando austroungarico, pur tra le proteste della componente jugoslava (che in questo paese è la maggioranza), i cui rapporti con la locale componente italiana (che invece ha accolto festosamente l’arrivo dell’Acerbi, inviando poi una delegazione a fare visita del comandante), che al contempo protesta contro gli jugoslavi, sono piuttosto tesi. La presa di possesso risulta qui soprattutto un atto formale, cui non fa seguito un’effettiva occupazione. Gli italiani di Abbazia salgono a bordo dell’Acerbi con le famiglie al completo per vedere la prima nave italiana lì arrivata, e farvisi fotografare. Nel pomeriggio arriva a portare il benvenuto anche una delegazione di Laurana.
Lo stesso 4 novembre l’Acerbi viene inviato a Volosca, dove inizia a constatare la situazione ed ad avviare contatti con gli abitanti del posto (l’occupazione avverrà l’11 novembre, da parte del Sirtori).
8 novembre 1918
L’Acerbi viene mandato a Lussino, dove già staziona l’Orsini, perché nell’isola dalmata, abitata in prevalenza da italiani ma nella quale si trovano parecchi militari jugoslavi, insistono gravi contrasti (il 13 novembre il capitano di corvetta Drachslern, comandante locale della neonata Marina jugoslava, invia sull’Acerbi una lettera di protesta affermando che Lussino fa parte del nuovo Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, e che i cacciatorpediniere italiani sono lì ammessi solo come unità che rappresentano l’Intesa, oltre a protestare per la requisizione delle navi jugoslave presenti a Lussino), che si risolveranno solo il 20 novembre con la sua occupazione stabile, il disarmo ed il trasferimento a Fiume dei militari jugoslavi, ed il sequestro di materiale bellico e di alcuni mercantili tra cui un panfilo.


L’Acerbi all’inizio del 1930 (Coll. Luigi Accorsi, via www.associazione-venus.it)

1920
Lavori di modifica dell’armamento: i 6 pezzi singoli Schneider-Armstrong 1914-1915 da 102/35 mm vengono sostituiti con altrettanti Scheider-Armstrong 1917 da 102/45 mm, più moderni.
1929
L’Acerbi, con Sirtori e Stocco e con l’Ippolito Nievo della classe Pilo, forma la X Squadriglia Cacciatorpediniere, che, insieme alla IX Squadriglia Cacciatorpediniere (Giuseppe Cesare Abba, Giuseppe Dezza, Antonio Mosto, Giuseppe Missori, Fratelli Cairoli) ed all'esploratore Aquila, compone la 5a Flottiglia della Divisione Speciale, che comprende anche l'esploratore Brindisi, nave comando.
1° ottobre 1929
Declassato a torpediniera.
1935
È comandante dell’Acerbi il tenente di vascello Adriano Foscari, futura Medaglia d’oro al Valor Militare.

La nave fotografata nel 1937 con il Gran Pavese (g.c. STORIA militare)

10 giugno 1940
Alla data dell’entrata dell’Italia nel secondo conflitto mondiale l’Acerbi, insieme all’Orsini, si trova dislocata nella base eritrea di Massaua, sul Mar Rosso, alle dirette dipendenze del Comando Marina di Massaua, formando il Distaccamento Torpediniere del Comando Navale Africa Orientale Italiana.
27 giugno 1940
In mattinata l’Acerbi lascia Massaua unitamente ai cacciatorpediniere Leone e Pantera, per andare in soccorso al sommergibile Perla, incagliatosi dopo che perdite di cloruro di metile hanno intossicato larga parte dell’equipaggio. L’Acerbi dovrebbe se possibile disincagliare e prendere a rimorchio il Perla, mentre i due cacciatorpediniere fornirebbero appoggio e sostegno; qualora ciò risultasse impossibile, le unità dovrebbero recuperare l’equipaggio del sommergibile.
Il Leone deve tornare indietro quasi subito a causa di avarie, e presto l’intera formazione si trova a dover invertire la rotta, perché la ricognizione aerea ha avvistato una superiore formazione nemica (incrociatore leggero Leander, cacciatorpediniere Kandahar e Kingston) diretta verso Sciab Sciach, vicino a dov’è incagliato il Perla, per distruggere il sommergibile. Saranno alcuni aerei a riuscire ad allontanare le navi britanniche dal Perla, che potrà essere sottoposto a provvisorie riparazioni e poi rimorchiato a Massaua il 20 luglio.

L’Acerbi a Massaua tra la fine degli anni ’30 e l’estate del 1940 (foto Giuseppe Angelini, da http://xoomer.virgilio.it/jj55/pagina_dedicata_a_mio_padre_gius.htm)

La fine

Erano le 18 del 6 agosto 1940 (altre fonti parlano dell’8 agosto, ma si tratta di un errore) quando il porto di Massaua venne attaccato da due o tre bombardieri britannici Bristol Blenheim, che sganciarono le loro bombe a bassa quota, prendendo di mira il seno di Dachilia.
La base eritrea era sottoposta di frequente ad incursioni aeree – ne subì più di una cinquantina nel solo periodo dal giugno al novembre 1940 –, ma di solito non si registravano molti danni tra le navi ormeggiate: questa volta, però, alcune bombe (non è chiaro se una “salva” di bombe sganciate da due Blenheim oppure un solo ordigno, a seconda delle fonti) caddero proprio sull’Acerbi, che si trovava ormeggiata al pontile. Una delle bombe, in particolare, colpì la torpediniera nei pressi del terzo fumaiolo e scoppiò nella sala macchine, arrecando gravi danni anche alla coperta soprastante, oltre a far collassare il fumaiolo. Sedici membri dell’equipaggio dell’Acerbi, in maggioranza tra il personale di macchina, persero la vita; un’altra trentina furono feriti, uno dei quali morì alcune settimane dopo. Fu tra i morti anche il direttore di macchina, capitano del Genio Navale Pietro Squadroni.
Il nocchiere Mario Cassisa, che nel 1940 prestava servizio sul sommergibile Galileo Ferraris di stanza a Massaua, così ricordò quel giorno nelle sue memorie di guerra: “[al molo] c'erano ormeggiati di punta a 15 metri l'uno dall'altro i tre sommergibili superstiti dalle missioni di guerra nell'Oceano Indiano, il Ferraris, l'Archimede e il Guglielmotti (il Perla era incagliato nelle vicinanze di Assab), nell'angolo sud del pontile c'erano i due cacciatorpediniere, l'Orsini e l'Acerbi, altri due rimorchiatori e alcune motobarche. (…) suonò la sirena dell'allarme aereo: già gli aerei inglesi bombardavano la nostra base navale (…) Le bombe cadevano tutto intorno a noi, una cadde a trenta metri da noi e le esplosioni che si sentivano erano violentissime. Una bomba cadde sulla zattera galleggiante che era la cucina delle due torpediniere, squarciò lamiere, distrusse 15 metri di pontile e uccise i cuochi che stavano lavorando. Io e Zerillo eravamo passati da lì pochi secondi prima e da terra vedevo le schegge che si allargavano dappertutto e si alzavano fino a 30 metri da terra a ventaglio e salivano sopra di noi. Dopo l'attacco ai sommergibili e alle torpediniere gli aerei si abbassarono fino a 20 metri sopra di noi ed io riuscii a vedere un pilota inglese seduto nella carlinga dentro una cupola con una fessura per la canna della grossa mitragliatrice, ma per miracolo di Dio e della Madonna di Trapani, non spararono a nessuno. Ci alzammo e corremmo via dalle navi da guerra e dai sommergibili che stavolta erano il loro obiettivo. Se avessimo perso anche solo qualche istante saremmo finiti anche noi macellati coi cuochi di cui non si trovò neanche un pezzettino di carne nel mare intorno. E se i mitraglieri degli aerei inglesi ci avessero sparato sicuramente ci avrebbero ucciso. Gli inglesi quel giorno avevano cambiato tattica: anziché sorvolare alti le nostre basi ed essere intercettati dagli aerofani che avrebbero dato l'allarme venivano da sud di Massaua e si mantenevano bassissimi. Prendevano quota di bombardamento solo dopo essere già entrati nelle nostre basi e sorprendevano tutti gli aerofonisti e il personale delle batterie contraeree poi tornavano bassi così che noi non potevamo colpirli senza rischiare di colpire noi stessi. Nel bombardamento l'Orsini [errore di memoria: in realtà Cassisa sta certamente parlando dell’Acerbi] era rimasta parecchio danneggiata e stava per affondare con i morti e i feriti e i dispersi di cui non si trovò traccia dopo il bombardamento; i superstiti recuperarono i morti e i feriti e li caricarono sulle ambulanze della croce rossa della regia marina per portarli fino all'ospedale del comando marina militare a 500 metri dal pontile est dove era ormeggiata la torpediniera. I due rimorchiatori che erano ormeggiati lì vicino lo rimorchiarono in uno dei bacini galleggianti che erano alla fonda nella nostra stessa baia porto a poche centinaia di metri ad est del pontile, lo insellarono e lo alzarono a secco. Si ripararono la coperta, la falla del centro poppiero e le strutture interne danneggiate. Quel pomeriggio nell'Orsini e nell'Acerbi ci furono parecchie vite umane perdute e fortunatamente dalla pioggia di bombe si salvarono i tre sommergibili. Ormai gli allarmi aerei erano diventati normalità, l'allarme era continuo 24 ore su 24 e la sirena del cessate allarme non suonava mai, suonava solo l'allarme degli aerofoni che intercettavano gli inglesi. Gli impianti di intercettazione erano primitivi, erano formati da un grande disco in lamiera in ferro a forma di un piatto cavato di 2 metri di diametro con un diaframma metallico nel centro collegato con un cavo telefonico che usciva da dietro ad una cuffia e il marinaio di guardia lo metteva sulle orecchie e stava seduto su un seggiolino metallico con due maniglie girevoli in mano girava l'aerofono tutto intorno a 360 gradi e l'altra maniglia faceva abbassare e alzare verticalmente e orizzontalmente da 90 a 90 gradi su e giù. Malgrado l'allarme fosse continuo si lavorava e si operava normalmente. La città di Massaua venne evacuata ad Asmara, nell'altopiano eritreo ma in città rimasero pochi coraggiosi che tenevano bar e ristoranti aperti. Gli inglesi erano combattenti leali, non bombardavano la città e non mitragliavano i civili e quando colpivano le navi non si accanivano tornando a bombardare ad ondate successive, davano il tempo ai sopravvissuti di raccogliere morti e feriti. Per quella notte non tornarono e vennero il giorno dopo. Lo stesso facevano i nostri S71 e S89 quando andavano a bombardare porto Sudan, il porto di Aden e l'aeroporto militare di Khartoum”.
Il tenente di vascello Fabio Gnetti, all’epoca imbarcato sul cacciatorpediniere Daniele Manin anch’esso di base a Massaua, ricordò a sua volta nel suo libro “Ultima missione in Mar Rosso”: “Le due vecchie torpediniere (ambedue hanno preso parte alla prima guerra mondiale) Acerbi e Orsini prendono parte a missioni di carattere esplorativo prima di finire, la prima distrutta da un bombardamento aereo in porto il 6 agosto 1940 (ricorderò sempre il seggiolino del direttore di macchina, Cap. Squadroni di Sarzana, incastrato a sghimbescio sull’estremità superiore di una delle «tre pipe», unico ricordo di un collega, di cui si è ritrovata la sola spallina da capitano)…

Deceduti nel bombardamento dell’Acerbi:

Antonio Adinolfi, marinaio fuochista, da Cava de’ Tirreni
Giuseppe Baldassarre, capo meccanico di prima classe, da Santeramo in Colle
Vincenzo Bellucci, marinaio cannoniere, da Ortona
Aristide Bettiga, marinaio fuochista, da Colico
Tarcisio Brodesco, sottocapo motorista, da Vicenza
Agostino Campora, marinaio, da Campomorone
Natale Carzaniga, marinaio furiere, da Bernareggio
Pasquale Cassano, marinaio S.D.T., da Bari
Bernardo Gavuzzi, sergente cannoniere, da Lusigliè
Cosimo Gemelli, marinaio fuochista, da Catania
Silvio Marangon, sottocapo meccanico, da Donada
Alessandro Mauro, sergente meccanico, da Taranto
Giuseppe Nocerino, marinaio fuochista, da Portovenere
Giuseppe Simonetti, sottocapo meccanico, da Bagnone
Umberto Spanò, secondo capo meccanico, da Napoli (deceduto il 28/8/1940)
Pietro Squadroni, sottotenente del Genio Navale, da Pisa
Nicola Tamburro, marinaio cannoniere, da Torre Annunziata


La torpediniera rimase in condizione di galleggiare, ma, rimorchiata in bacino, emerse che i danni erano troppo gravi per renderne pratica la riparazione: l’Acerbi fu giudicata non più adatta ad uscire in mare; ormai ridotta ad un inutilizzabile relitto galleggiante, venne ormeggiata ad una banchina, in disarmo. In tale stato rimase fino alla caduta dell’Eritrea. Su ordine del contrammiraglio Mario Bonetti, comandante delle forze navali italiane in A. O. I., cinque (oppure quattro od anche tutti e sei) dei cannoni da 102 mm e parte delle mitragliere, ormai non più utili, vennero rimosse ed usate per rinforzare le difese contraeree di Massaua: quattro pezzi da 102/45 furono posizionati nei pressi di Ras Cambit, sull’isola di Dahlak Kebir, dove armarono la batteria antinave «Acerbi-Ma 314» (che, con gittata di 12 km, avrebbe dovuto proteggere il canale sud di accesso a Massaua impedendo a navi nemiche di transitarvi); un altro cannone da 102/45, unitamente ad altri due da 102/35 sbarcati dal posamine Ostia, fu assegnato alla batteria antinave «Ma 370» situata presso il porto di Massaua; alcune mitragliere da 40/39 mm furono assegnate alle difese di Massaua.

Il relitto galleggiante dell’Acerbi fotografato nel porto di Massaua nell’agosto 1940, accanto ad un incrociatore ausiliario tipo RAMB (RAMB I o RAMB II) (g.c. STORIA militare)

L’ultimo capitolo della storia dell’Acerbi, scritto nell’aprile 1941, quando Massaua venne occupata dalle forze britanniche in ormai inarrestabile avanzata, è piuttosto controverso. Secondo alcune fonti, soprattutto da parte britannica, l’inutilizzata torpediniera venne colpita da bombardieri o da aerosiluranti Fairey Swordifh (questi ultimi appartenenti al gruppo di volo della portaerei HMS Eagle) l’1 od il 4 aprile 1941 (per una fonte, affondata il 4 dopo essere stata già colpita e gravemente danneggiata il 3), pochi giorni prima che Massaua fosse occupata dalle truppe del Commonwealth, ed affondò nel porto della base eritrea. Per altre, invece, nell’ambito del piano di autoaffondamento di massa (16 navi tra mercantili ed ausiliarie, due bacini galleggianti, un pontone gru e naviglio minore) ordinato dal contrammiraglio Mario Bonetti, comandante della piazza di Massaua, per distruggere tutte le navi non in grado di sfuggire alla cattura ed al contempo rendere inutilizzabile il porto al nemico, pochi giorni prima dell’occupazione di Massaua l’Acerbi venne rimorchiata fino all’imboccatura del porto militare e qui autoaffondata insieme ai piroscafi da carico Moncalieri, XXIII Marzo ed Oliva ed al piroscafetto requisito Impero, ostruendo in tal modo l’accesso al porto militare. Questa versione appare la più verosimile, in quanto suffragata dalle carte realizzate dai britannici durante l’occupazione della città ed indicanti le posizioni dei numerosi relitti presenti nel porto: l’Acerbi appare appunto affondata nell’imbocco del porto militare insieme a Moncalieri, XXIII Marzo, Impero ed Oliva, risultando l’ultima verso est di una fila di navi affondate in modo da formare una barriera che, da ovest verso est, vedeva affondati Moncalieri, XXIII Marzo, Oliva, Impero ed Acerbi. Quasi nessuna fonte indica una precisa data di autoaffondamento, salvo una, che lo data al 4 aprile 1941; per un’altra, la torpediniera, insieme ad alcuni MAS, fu una delle ultime unità ad autoaffondarsi, appena un’ora prima che le truppe nemiche arrivassero a Massaua.
Cosa ne sia stato del relitto dell’Acerbi, a seguito delle operazioni di recupero intraprese da parte alleata per liberare il porto di Massaua dai relitti, non è dato sapere. Probabilmente la vecchia torpediniera fu semplicemente riportata a galla e demolita, senza nemmeno che qualcuno si premurasse di registrarne la fine.

Un’altra immagine della Giovanni Acerbi (Imperial War Museum, via www.navweaps.com)

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