martedì 10 febbraio 2015

Leopardi

Il Leopardi fotografato in Atlantico, presso Capo San Vincenzo, il 30 settembre 1937 (g.c. Aldo Cavallini, via www.naviearmatori.net)

Piroscafo da carico da 3298 tsl e 1970 tsn, lungo 102,7 m, largo 14,8 e pescante 6,89 m, con velocità 11 nodi. Appartenente alla Società Anonima di Navigazione Tirrenia, con sede a Napoli, ed iscritto con matricola 77 al Compartimento Marittimo di Fiume.

Breve e parziale cronologia.

11 agosto 1915
Varato nel cantiere di Willington (Northern & Southern Shields) della Tyne Iron Shipbuilding Company Limited (con numero di cantiere 194) come Gambia.
Ottobre 1915
Completato come britannico Gambia per la Elder Dempster Lines Ltd. – African Steamship Company di Liverpool.
1933
Acquistato dalla Adria Società Anonima di Navigazione, con sede a Fiume, e ribattezzato Leopardi. Viene impiegato per qualche tempo sulla linea Adriatico-Tirreni-Nord Europa.
15-18 ottobre 1934
A bordo del Leopardi (capitano Sperber), in navigazione verso il golfo di Biscaglia con un carico di mandorle, viene scoperto un incendio in una stiva. Per evitare che le fiamme si estendano, il comandante fa chiudere l’apertura della stiva interessata dall’incendio e pompare del vapore al suo interno, poi chiede via radio a Londra, dove la nave è diretta, che una brigata dei pompieri aspetti la nave al suo molo, a Bermondsey. Il Leopardi naviga per tre giorni a tutta forza verso Londra, con l’incendio nella stiva che non accenna a diminuire, giungendo in porto (dove si ormeggia al Butlers Wharf presso Tower Bridge) il mattino del 18 ottobre. Subito i pompieri salgono a bordo e, dopo quattro ore di sforzi (con l’impiego di quasi 30 autopompe e del battello antincendio dei Frati Neri), riescono a domare le fiamme.
1937
Trasferito alla Tirrenia Società Anonima di Navigazione.
Durante la seconda guerra mondiale non sarà requisito dalla Regia Marina né iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato.

L’affondamento

A mezzogiorno del 13 agosto 1940 il Leopardi, con a bordo 37 italiani di equipaggio e 311 soldati libici, partì da Bengasi diretto a Derna insieme alla motonave Città di Messina e con la scorta della vecchia torpediniera Generale Achille Papa (tenente di vascello Aldo Reggiani). Alle 15.15 le tre navi si disposero in linea di fila con 1000 metri d’intervallo tra una nave e l’altra, con Papa in testa, Città di Messina al centro e Leopardi in coda, ed imboccarono le rotte di sicurezza a 6 nodi di velocità.
Alle 20 la Papa, dopo aver zigzagato ad alta velocità a proravia ed a poppavia del convoglio, assunse la posizione di scorta notturna. I due mercantili erano in linea di fila, Città di Messina in testa e Leopardi in coda, distanziati di un migliaio di metri, mentre la torpediniera si era posizionata a 1000 metri per 80°, a proravia sinistra, dalla Città di Messina.
La luna tramontò alle 2.35.
Alle tre di notte, al largo di Tolmetta (Cirenaica), si sentì un’esplosione sorda – il comandante Reggiani del Papa la paragonò alla detonazione contemporanea di parecchie bombe di profondità – ed una grande fiammata violacea, larga un terzo dello scafo ed alta come l’alberatura, si levò sulla prua dritta del Leopardi. Il piroscafo aveva urtato una mina di uno sbarramento di 50 ordigni posato dal sommergibile britannico Rorqual (capitano di corvetta Ronald Hugh Dewhurst) il precedente 21 luglio (tra le 12.00 e le 12.32 presso il punto approssimato 32°45'5" N, 20°57' E, al largo del faro di Tolmetta, e sul quale era già affondato il 24 luglio il piroscafo Celio), anche se in quel momento non si poteva sapere se l’esplosione fosse proprio di una mina oppure di un siluro lanciato da un sommergibile.
Nel dubbio, la Papa si diresse subito a tutta forza verso il Leopardi e, giunta un chilometro al traverso a dritta (un poco a poppavia) della nave colpita, lanciò tre bombe di profondità, poi raggiunse la Città di Messina e le ordinò di proseguire alla massima velocità verso Derna, quindi tornò vicino al luogo del siluramento e gettò altre tre bombe di profondità in quella che supponeva essere la zona d’agguato del presunto (in realtà inesistente) sommergibile nemico.
Alle 3.16 la Papa fermò le macchine sul punto dove il Leopardi era appena affondato (32°39’ N e 21°03’ E, sei-sette miglia ad est/nordest di Tolmetta), e mezz’ora dopo trasse in salvo i primi superstiti: 14 italiani, tra cui il primo ufficiale del piroscafo, da una scialuppa, e quattro libici aggrappati ai rottami.
Alle 3.50, a causa del buio pesto che rendeva impossibile avvistare i naufraghi, e temendo di ferirli od ucciderli con le eliche o di danneggiare le eliche stesse nell’impatto con relitti galleggianti, la Papa mise a mare tre zattere Carley con due ottimi marinai e poi si allontanò, portandosi ad un miglio dal punto dell’affondamento e poi incrociando a 20 nodi sino alle 5.28.
Proprio alle 5.28 qualcuno, a poppa della Papa, credette di avvistare la scia di un siluro (era in realtà un falso allarme), così la nave invertì la rotta e lanciò le ultime quattro bombe di profondità; poi, dalle 5.32 alle 6.48, la torpediniera recuperò altri 143 naufraghi.
La Papa salvò in tutto 25 membri dell’equipaggio del Leopardi, di cui 23 italiani e due carbonai libici, e 136 soldati libici. Due di questi ultimi, gravemente feriti, spirarono a bordo della torpediniera.
Alle 8.13 la Papa ricevette l’ordine di tornare in porto.
Complessivamente furono tratti in salvo 32 italiani e 140 libici. Morirono cinque italiani e 171 libici, forse la più grande perdita di vite libiche in mare della seconda guerra mondiale.

Il piroscafo con i colori della società Adria (g.c. Mauro Millefiorini via www.naviearmatori.net)


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