sabato 5 dicembre 2015

Rialto

Dipinto di Paolo Klodic ritraente la Rialto (g.c. Rosario Sessa via www.naviearmatori.net

Motonave da carico da 6099 tsl e 3771 tsn, lunga 131,1 metri, larga 16,9 e pescante 8,3, con una velocità di 13,5 nodi. Appartenente alla Società Anonima di Navigazione Italia, con sede a Genova, ed iscritta con matricola 422 al Compartimento Marittimo di Trieste; nominativo di chiamata ICEL.
In tempo di pace prestava servizio di linea tra l’Italia e la costa occidentale degli Stati Uniti, passando per il canale di Panama, insieme alle gemelle Fella, FeltreCellinaLeme.

Breve e parziale cronologia.

22 dicembre 1926
Varata nello Stabilimento Tecnico Triestino di Trieste (numero di cantiere 751).
1927
Completata per la Navigazione Libera Triestina, con sede a Trieste. La stazza lorda originaria è 7098 tsl.
13 dicembre 1927
Il giocatore di baseball Ray Gillaspy, 38 anni, viene chiamato a bordo della Rialto ed ucciso a colpi di fucile per motivi di gelosia da Joe Parente, salito sulla nave dopo essersi travestito da membro dell’equipaggio, senza essere notato da vari ufficiali. All’arrivo a Portland, la nave viene ispezionata dalla polizia.
1937
Trasferita alla Italia Società Anonima di Navigazione, viene sottoposta a lavori di revisione nei Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone.
Gennaio 1938
Terminati i lavori, la nave torna in servizio all’inizio del mese. La Rialto e le sue quattro gemelle vengono assegnate alla linea Trieste-Vancouver.
16 marzo 1940
La Rialto, in partenza per Genova, imbarca a San Francisco 14 ex membri dell’equipaggio del transatlantico tedesco Columbus, autoaffondatosi al largo della Virginia il 19 dicembre 1939 per evitare la cattura da parte del cacciatorpediniere britannico Hyperion, ed il cui equipaggio era stato soccorso ed internato dalle autorità statunitensi nell’Angel Island nella baia di San Francisco. Gli uomini saliti sulla Rialto, decisi a tornare a casa a tutti i costi, hanno tutti un’età superiore ai 52 anni, in quanto le navi britanniche intercettano le navi neutrali che rimpatriano marittimi tedeschi in età da servizio militare, catturandoli. Nonostante le aspettative basate sulla loro età, durante la sosta a Gibilterra della Rialto, in aprile, i marittimi tedeschi verranno tutti sbarcati ed arrestati dalle autorità britanniche.
10 giugno 1940
Quando l’Italia entra in guerra, la Rialto è l’unica delle quattro gemelle (la quinta, la Feltre, è stata venduta ad armatori americani nel 1937, dopo un incagli nel fiume Columbia) a non trovarsi fuori dal Mediterraneo.
26 ottobre 1940
Requisita a Trieste dalla Regia Marina, senza essere iscritta nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato.
21 novembre 1940
Adibita a traffico civile, salpa da Bari alle 14, scortata dalla torpediniera Monzambano, e giunge a Brindisi alle 20.
22 novembre 1940
Riparte da Brindisi alle 6.30, scortata dalla vecchia torpediniera Angelo Bassini, e raggiunge Valona a mezzogiorno.
27 novembre 1940
Lascia Valona alle 11.30, scortata dalla torpediniera Solferino, e giunge a Brindisi alle 17.10.
19 dicembre 1940
Parte da Napoli a mezzogiorno insieme ai piroscafi Aquitania e Bainsizza ed alla motonave Assiria, con la scorta della torpediniera Clio.
21 dicembre 1940
Alle 13.13, una quarantina di miglia a nord delle Kerkennah, il convoglio viene attaccato da un aereo britannico, che dopo aver seguito le navi per dieci minuti restando fuori tiro si butta in picchiata sull’Aquitania ma viene abbattuto dalla Clio prima di poter sganciare le proprie bombe.
Il velivolo è decollato dalla portaerei britannica Illustrious, che, in mare per un’altra operazione britannica, ha lanciato una dozzina di aerei contro due convogli italiani avvistati dai ricognitori.
22 dicembre 1940
Il convoglio arriva a Tripoli.
15 febbraio 1941
La Rialto ed i piroscafi Istria e Beatrice Costa salpano da Napoli di prima mattina con la scorta della torpediniera Generale Antonino Cascino, trasportando automezzi dei primi scaglioni dell’Afrika Korps.
A Palermo la Cascino è rilevata dalla più moderna torpediniera Alcione.
17 febbraio 1941
Il convoglio giunge a Tripoli in mattinata.
21 febbraio 1941
Lascia Tripoli insieme a Gritti e Venier.
23 febbraio 1941
Le motonavi giungono a Napoli.
7 marzo 1941
La Rialto salpa da Napoli in convoglio con i piroscafi tedeschi Arcturus, Alicante e Wachtfels, e la scorta dei cacciatorpediniere Fulmine, Turbine e Baleno (convoglio «Sonnenblume 8»). Le navi trasportano truppe e materiali dell’Afrika Korps, tra cui i carri armati del 5. Panzerregiment.
Il giorno stesso, tuttavia, il convoglio viene fatto rientrare a Napoli a causa di un allarme navale (sono state avvistate navi nemiche al largo di Zuara, e Supermarina ha ordinato che tutti i convogli in mare ritornino temporaneamente in porto).
8 marzo 1941
Il convoglio riparte da Napoli.
12 marzo 1941
Il convoglio giunge a Tripoli dopo un viaggio tranquillo.
9 aprile 1941
La Rialto salpa da Napoli in convoglio con le motonavi Birmania, Barbarigo, Andrea Gritti e Sebastiano Venier. La scorta è fornita dal cacciatorpediniere Dardo e dalle torpediniere Clio, Enrico Cosenz e Generale Achille Papa.
11 aprile 1941
Il convoglio giunge a Tripoli.
24 aprile 1941
Salpa da Napoli per Tripoli alle 23 in convoglio con i Birmania, Reichenfels, Marburg e Kybfels. Le Divisioni incrociatori III (incrociatori pesanti Trieste e Bolzano) e VII ed i cacciatorpediniere Ascari e Carabiniere forniscono scorta indiretta. A seguito di movimenti delle forze britanniche e dello stato del mare, il convoglio viene dirottato dapprima a Palermo e poi a Messina ed Augusta, da dove partirà solo tra il 29 ed il 30 aprile.
30 aprile 1941
La Rialto lascia Messina in convoglio con la motonave Birmania, il trasporto truppe Marco Polo ed i mercantili tedeschi Reichenfels, Marburg e Kybfels («23. Seetransportstaffel»). I trasporti, carichi di truppe e rifornimenti dell’Afrika Korps, sono scortati dai cacciatorpediniere Fulmine ed Euro e dalle torpediniere Castore, Procione ed Orione (poi anche Canopo); gli incrociatori leggeri Trieste e Bolzano, l’incrociatore leggero Eugenio di Savoia ed i cacciatorpediniere Ascari, Carabiniere e Vincenzo Gioberti forniscono copertura a distanza.
1° maggio 1941
Alle 12.51, ottanta miglia a nord di Tripoli, la Rialto viene mancata da un siluro che la passa a poppa: a lanciarlo è stato il sommergibile britannico Undaunted (tenente di vascello James Lees Livesey), che alle 12.44 ha lanciato un segnale di scoperta per un grosso convoglio scortato in posizione 34°40’ N e 12°20’ E, su rotta 205° e con velocità 8 nodi.
Il convoglio viene anche infruttuosamente attaccato da aerei; da Malta prende il mare per intercettarlo una formazione composta dall’incrociatore leggero Gloucester e dai cacciatorpediniere Kelly, Kelvin, Kashmir, Kipling, Jersey e Jackal, ma non riesce a rintracciarlo.
Tutte le navi raggiungono indenni Tripoli alle 23.
5 maggio 1941
La Rialto lascia Tripoli insieme a Reichenfels, Marburg e Kybfels ed al trasporto truppe Marco Polo. La scorta diretta è data dai cacciatorpediniere Fulmine ed Euro e dalle torpediniere Procione, Orsa, Cigno, Centauro e Perseo.
Gli incrociatori leggeri Eugenio di Savoia, Emanuele Filiberto Duca d’Aosta e Muzio Attendolo ed i cacciatorpediniere Antonio Pigafetta, Nicoloso Da Recco, Alvise Da Mosto, Giovanni Da Verrazzano e Nicolò Zeno forniscono copertura a distanza.
6 maggio 1941
Alle 13.25 il convoglio viene avvistato in posizione 37°36’ N e 15°28’ E, su rilevamento 070°, dal sommergibile britannico Unique (tenente di vascello Anthony Foster Collett), ma questi, che dista una decina di miglia dalle navi dell’Asse e non è nella posizione prevista a causa di un errore di navigazione, non è in grado di attaccare.
7 maggio 1941
Il convoglio giunge a Palermo.
26 maggio 1941
La Rialto parte da Napoli per Tripoli insieme alle motonavi Barbarigo, Ankara (tedesca), Andrea Gritti, Marco Foscarini e Sebastiano Venier; la scorta è assicurata dai cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi, Saetta ed Antonio Da Noli e dalle torpediniere Cigno, Castore, Pallade, Procione e Pegaso.
L’incrociatore leggero Luigi Cadorna ed i cacciatorpediniere MaeStrale e Grecale forniscono scorta a distanza.
27 maggio 1941
Verso le 13 il convoglio viene attaccato da sei bombardieri Bristol Blenheim decollati da Malta: due degli aerei (il V6460 del sergente E. B. Inman e lo Z6247 del capitano G. M. Fairburn) vengono abbattuti (secondo fonti italiane, dal fuoco contraereo; per i britannici, ambedue gli aerei sarebbero stati travolti e distrutti dallo scoppio delle bombe sganciate dallo stesso Inman su una delle motonavi), ma le bombe colpiscono la Venier (una sola bomba che però non esplode, non causando così danni gravi) e la Foscarini (che viene invece incendiata).
La Cigno recupera l’unico sopravvissuto dei sei uomini componenti gli equipaggi dei due aerei, il sergente K. P. Collins, gravemente ferito.
Si tratta del primo attacco aereo verificatosi sulla rotta di levante per la Libia, nonché del primo bombardamento a bassa quota contro navi nella guerra del Mediterraneo.
La Foscarini, in fiamme, verrà portata ad incagliare davanti a Tripoli il 30 maggio, ma non sarà mai recuperata.
28 maggio 1941
Il convoglio giunge a Tripoli.
3 giugno 1941
Rialto, Andrea Gritti, Ankara e Sebastiano Venier ripartono da Tripoli scortate dai cacciatorpediniere Vivaldi e Da Noli e dalla torpediniera Castore.
30 giugno 1941
Parte da Napoli per Tripoli in convoglio con le motonavi Barbarigo, Ankara (tedesca), Andrea Gritti, Sebastiano Venier e Francesco Barbaro, scortate dai cacciatorpediniere Freccia, Dardo, Turbine e Strale. Il convoglio giungerà a destinazione senza danni.
14 luglio 1941
La Rialto parte lascia Tripoli diretta a Napoli, in convoglio con le motonavi da carico Andrea GrittiSebastiano VenierAnkara (tedesca) e Barbarigo e con la scorta dei cacciatorpediniere Lanzerotto Malocello (caposcorta), Fuciliere ed Alpino e delle torpediniere di scorta Orsa, Procione e Pegaso (il convoglio è denominato «Barbarigo»).
Questo convoglio è il primo ad essere oggetto con successo delle intercettazioni di “ULTRA”, che l’11 luglio 1941, tre giorni prima della partenza, apprende da messaggi decrittati che un convoglio di sei mercantili di 5000 tsl, scortato da cacciatorpediniere, lascerà Tripoli alle 16 del 14 luglio, procedendo a 14 nodi, passando a est delle Kerkennah alle cinque del mattino del 15 luglio e poi ad ovest di Pantelleria alle 14 del 15 luglio, probabilmente diretto a Napoli.
In seguito a quest’informazione, i comandi britannici schierano uno sbarramento di sommergibili (tra cui l’Union ed il P 33) attorno a Pantelleria, dove sannno che il convoglio dovrà passare nel primo pomeriggio del 15.
Vengono anche lanciati diversi attacchi aerei tra il 14 ed il 15 luglio, ma i velivoli – Fairey Swordfish decollati da Malta – non riescono a localizzare il convoglio da attaccare.
15 luglio 1941
In mattinata il convoglio viene localizzato da un ricognitore britannico, e nel pomeriggio si verificano gli attacchi dei sommergibili.
Alle 11.20 le navi giungono in vista di Pantelleria, su rilevamento 24°, ed accostano in tale direzione, procedendo a zig zag; oltre ai cacciatorpediniere ed alle torpediniere, è presente anche una scorta aerea, con due caccia e due idrovolanti CANT Z. 501. Alle 14.07 il P 33 (tenente di vascello Reginald Denis Whiteway-Wilkinson) avvista il convoglio nel punto 36°27’ N e 11°54’ E, da una distanza di 10 km, si avvicina ed alle 14.39, da 2300 metri, lancia quattro siluri.
Alle 14.41 il convoglio si trova a 21 miglia per 209° da Punta Sciaccazza (Pantelleria) quando l’Alpino riferisce per radiosegnalatore «Scie di siluro a dritta», mentre uno dei velivoli della scorta aerea (l’idrovolante CANT Z. 501/6 della 144a Squadriglia della Regia Aeronautica) si getta in picchiata sul punto dove si presume essere il sommergibile nemico, sganciando due bombe per poi inseguire e mitragliare le scie dei siluri. L’Alpino ed il Fuciliere riescono ad evitarne uno e due siluri, ma la Barbarigo viene colpita alle 14.43 ed inizia subito ad affondare di poppa.
La Pegaso viene distaccata per dare assistenza alla motonave danneggiata, che affonderà ugualmente alle 15.10 nel punto 36°27’ N e 11°54’ E; Alpino, Orsa, Procione ed un CANT Z. 501 contrattaccano con 116 bombe di profondità, senza riuscire a danneggiare seriamente il P 33, che però riporta gravi danni proprio durante il tentativo di eludere la caccia, precipitando accidentalmente ad una quota eccessiva.
Alle 15.26 si verifica un nuovo attacco di sommergibili, ma nessuna nave viene colpita.
16 luglio 1941
Il convoglio arriva a Tripoli alle 14.30.
29 luglio 1941
Salpa da Napoli per Tripoli in convoglio con le motonavi italiane Andrea Gritti e Vettor Pisani e con la tedesca Ankara, scortate dal cacciatorpediniere Lanzerotto Malocello e dalle torpediniere Partenope, Procione, Orione e Pegaso.
31 luglio 1941
Il convoglio viene attaccato, a circa 50 miglia da Pantelleria, da sei bombardieri Bristol Blenheim della Royal Air Force decollati al tramonto da Luqa (Malta) e guidati dal maggiore George Goode. La reazione della scorta abbatte uno degli aerei (colpito dal tiro del Malocello e poi inseguito e colpito ancora da due caccia FIAT CR. 42 della scorta aerea) e li costringe tutti a sganciare le proprie bombe in mare e ritirarsi.
13 agosto 1941
La Rialto e le moderne motonavi Andrea Gritti, Francesco Barbaro, Vettor Pisani e Sebastiano Venier salpano da Napoli alle 17 con la scorta dei cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi (caposcorta, capitano di vascello Giovanni Galati), Folgore, Strale, Lanzerotto Malocello e Fulmine e della torpediniera Orsa.
Poco dopo la partenza si verifica un presunto attacco di sommergibile, senza risultato (in realtà, si tratta probabilmente di un falso allarme); poco dopo uno dei cannoni da 120 mm del Vivaldi esplode accidentalmente, costringendolo al rientro (il ruolo di caposcorta viene trasferito al Folgore, al comando del capitano di fregata Giurati).
14 agosto 1941
Poco dopo mezzanotte, il convoglio viene attaccato da aerei con lancio di bengala, a sud di Lampione. Nessuna nave viene colpita, grazie alla reazione della scorta.
15 agosto 1941
Il convoglio giunge a Tripoli senza danni nel pomeriggio.
1° settembre 1941
Parte a mezzanotte da Napoli in convoglio con le moderne motonavi Andrea Gritti, Francesco Barbaro, Vettor Pisani e Sebastiano Venier, con la scorta dei cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco (caposcorta), Freccia, Folgore, Dardo e Strale.
2 settembre 1941
Il convoglio attraversa lo stretto di Messina e si dispone poi nella formazione stabilita dall’ordine d’operazioni, imboccando una rotta che lo faccia passare a levante del massimo raggio operativo (160 miglia) dei velivoli britannici di base a Malta.
Nella navigazione da Napoli a Messina, però, il convoglio ha perso tre ore a causa di un’ampia accostata, e sarà così attaccato dagli aerei prima di poter entrare nella zona sicura.
Al tramonto la scorta aerea lascia il convoglio, come sempre.
3 settembre 1941
Alle 00.25 o 00.30, circa 25 miglia a sud-sud-est di Capo Spartivento, il convoglio viene attaccato da nove aerosiluranti Fairey Sowrdfish dell’830th Squadron della Fleet Air Arm, provenienti da Malta. Gli aerei attaccano dal lato sinistro; le navi aprono subito il fuoco contraereo e manovrano per ridurre la probabilità che i siluri vadano a segno, ma la Gritti e la Barbaro vengono colpite da un siluro ciascuna. La prima delle due, incendiata, esplode dopo pochi minuti in posizione 37°33’ N e 16°26’ E, lasciando solo due sopravvissuti su 349 uomini a bordo.
La Barbaro, colpita a poppa ed immobilizzata, verrà rimorchiata a Messina dal Dardo (poi sostituito dal rimorchiatore Titano).
4 settembre 1941
Il resto del convoglio raggiunge Tripoli.
13 settembre 1941
Rialto, Vettor Pisani e Sebastiano Venier ripartono da Tripoli con la scorta dei cacciatorpediniere Fulmine ed Alfredo Oriani e delle torpediniere Orsa, Procione e Pegaso. La navigazione, lungo la rotta di ponente, si svolge senza alcun turbamento.
 

Febbraio 1941: la Rialto carica a Napoli automezzi tedeschi appartenenti ai primi scaglioni dell’Afrika Korps (g.c. STORIA militare)
L’affondamento

La Rialto salpò per l’ultima volta da Napoli alle 20.45 del 2 ottobre 1941, diretta, come tante altre volte, a Tripoli; questo sarebbe dovuto essere il suo undicesimo viaggio su quella rotta.
Il suo carico era composto da 81 automezzi, 3162 tonnellate di carburante in fusti (questi erano in numero di circa 14.000) e 359 tonnellate di altri materiali, soprattutto provviste; l’equipaggio era formato da 56 marittimi civili, 17 tra sottufficiali, sottocapi e marinai della Regia Marina e 13 soldati del Regio Esercito addetti alle armi di bordo, un regio commissario (il capitano del Genio Navale Mario Maccarone) ed un commissario militare al carico (il sottotenente del Regio Esercito Domenico Zorzi); vi erano a bordo inoltre 44 artiglieri in accompagnamento alle mitragliere che facevano parte del carico, due ufficiali e quattro sottufficiali del Regio Esercito e 27 autisti civili di passaggio. In tutto, 165 uomini.
La nave faceva parte di un convoglio di motonavi da carico; le altre erano le italiane Fabio Filzi, Vettor Pisani e Sebastiano Venier, nuove di zecca, e le tedesche Ankara e Reichenfels. In tutto le navi del convoglio trasportavano 828 veicoli, 12.110 tonnellate di materiali vari, provviste e munizioni, 3162 tonnellate di carburante (tutte sulla Rialto, il che ne faceva la nave più importante del convoglio) e 1060 uomini; come spesso accadeva, era meno della metà di ciò che avrebbero potuto trasportare, ma tale sistema, benché antieconomico, era preferito per evitare, nei momenti di maggiore intensità degli attacchi nemici (e l’autunno del 1941 fu un crescendo), che l’affondamento di una singola nave potesse comportare la perdita di un grosso quantitativo di rifornimenti. Si sceglieva così di frazionare su più navi il carico che avrebbe potuto essere trasportato da un numero inferiore; la Rialto, per esempio, aveva spazio vuoto per ulteriori 5000 tonnellate.
La scorta era formata dai cacciatorpediniere Antonio Da Noli (caposcorta, capitano di fregata Luigi Cei Martini), Emanuele Pessagno, Antoniotto Usodimare, Vincenzo Gioberti ed Euro. Dopo che tutte le navi furono partite, il convoglio iniziò la navigazione alle 22.30.
La rotta da seguire era quella che passava per lo stretto di Messina ed a levante di Malta; era previsto di passare a circa 90 miglia da quest’isola, e non ad una distanza inferiore, perché la recente introduzione dei bombardieri ed aerosiluranti Vickers Wellington, dotati di maggiore autonomia dei Fairey Swordfish ed Albacore sino ad allora impiegati, rendeva inutile viaggiare a distanza maggiore. Non essendo più possibile viaggiare al di fuori del raggio operativo degli aerosiluranti maltesi, tanto valeva far procedere i convogli più vicini a Malta, in modo da ridurre la durata della traversata e prolungare il tempo in cui la caccia proveniente dalla Sicilia poteva tenere il convoglio sotto la propria protezione.
La velocità del convoglio, denominato «Pisani», avrebbe dovuto essere di 14 nodi, ma il Reichenfels ebbe problemi di macchina che costrinsero a ridurla a 10 nodi, che più avanti fu possibile portare a 13. La Rialto procedeva in seconda posizione, ed il Reichenfels in sesta (cioè in coda); dati i problemi di quest’ultimo, però, il caposcorta decise di scambiarle di posto, in modo da far procedere in testa la nave meno veloce. La Rialto ricevette l’ordine di portarsi al posto del Reichenfels alle 14 del 4 ottobre, e lo eseguì immediatamente: ciò, tuttavia, metteva la motonave italiana in una posizione pericolosa, la più esposta agli attacchi aerei notturni.
Durante la navigazione, specialmente il 3 ottobre, si ebbe a lamentare un notevole inconveniente. La nave rollava e beccheggiava a causa del mare mosso, e di conseguenza tutti gli artiglieri addetti alle mitragliere contraeree erano fuori combattimento, vittime di fortissimo mal di mare. A nulla valsero incoraggiamenti o minacce di punizioni rivolte alternativamente dal regio commissario Maccarone; non ebbero la forza di fare nulla e, se la nave fosse stata attaccata da aerei durante quel giorno, non sarebbero stati in grado di difenderla. Non c’era da stupirsene: gran parte di loro era originaria di paesi dell’interno, e non aveva mai viaggiato per mare. Non sapevano neanche nuotare; molti di loro sarebbero stati tra le vittime dell’affondamento.

Il 3 ed il 4 ottobre, di giorno, il convoglio godé della scorta aerea di bombardieri Savoia Marchetti SM. 79 “Sparviero” della Regia Aeronautica e di caccia Messerschmitt della Luftwaffe. Ciò non bastò ad impedire che, poco dopo le dieci del mattino del 4 ottobre, il convoglio venisse avvistato da ricognitori britannici provenienti da Malta, che informarono subito i propri comandi.
Supermarina intercettò i segnali di scoperta lanciati dai ricognitori, e richiese a Superaereo di sottoporre Malta, in serata, ad un violento bombardamento, così da impedire che gli aerei destinati ad attaccare il convoglio nottetempo potessero decollare. Il bombardamento ebbe luogo, ma per «ragioni di forza maggiore» non fu intenso come richiesto da Supermarina, così gli aerei di Malta poterono decollare egualmente.
Dopo l’intercettazione del segnale di scoperta, Supermarina ne mise al corrente anche il caposcorta Cei Martini. Questi, dopo il tramonto, fece coprire tutto il convoglio con cortine nebbiogene, in modo che i ricognitori nemici non lo vedessero accostare, poi modificò la rotta nel tentativo di ingannare gli aerei britannici. Probabilmente questo provvedimento ebbe un temporaneo successo, dato che Supermarina intercettò (e ritrasmise al caposcorta) dei messaggi che riferivano che i ricognitori radaristi stavano ancora cercando il convoglio; ma questo non era molto veloce ed il tratto di mare in cui doveva navigare non era molto ampio, e tra l’una e le due di notte del 5 ottobre i ricognitori avversari lo ritrovarono. Nel frattempo, alle 00.45, un sommergibile attaccò infruttuosamente il convoglio e l’Usodimare contrattaccò, ritenendo di averlo danneggiato.
Il primo attacco aereo cominciò poco dopo le 2.52 del 5 ottobre (sulla Rialto l’ora fu registrata come le 2.30, quando l’Euro, che procedeva in coda al convoglio, segnalò la presenza di aerei avversari con una breve raffica di mitragliera); fu dato l’allarme, ed i cacciatorpediniere della scorta riuscirono ad occultare i mercantili con cortine di nebbia. Non appena gli aerei si avvicinarono, tutte le navi del convoglio aprirono un violento fuoco di sbarramento, che costrinse gli attaccanti a ritirarsi. La navigazione proseguì, ora tutti erano all’erta, la vigilanza molto rigida.
Passò un’ora, poi alle 3.52, una settantina di miglia a nord di Misurata (per altra fonte, 80 miglia a nord-nord-est di tale città), ebbe inizio un secondo attacco, da parte di quattro aerosiluranti Fairey Swordfish dell’830th Squadron della Fleet Air Arm decollati da Malta. Il caposcorta Cei Martini ordinò nuovamente di emettere cortine fumogene, ma si accorse che, con il vento che spirava dai settori poppieri, la cortina non era efficace; risalì quindi il convoglio su rotta invertita ed emettendo fumo, così riuscendo ad occultare tutto il lato sinistro. Il lato dritto, quello opposto alla luna, restava però scoperto; e da quel lato attaccarono gli aerosiluranti.
Alle 3.57, in posizione 33°35’ N e 15°42’ E, gli uomini della Rialto sentirono il rumore di un aereo che si avvicinava provenendo dalla dritta; le mitragliere della motonave aprirono un intenso tiro contraereo, ma alle quattro del mattino la Rialto sobbalzò con un violento scossone, si avvertì un’esplosione ed una colonna d’acqua si sollevò sulla sinistra. Le mitragliere continuarono a sparare, ma la nave iniziò subito a sbandare sulla sinistra: la Rialto era stata colpita da un siluro.
Subito dopo, l’Usodimare inquadrò l’aereo siluratore con le proprie mitragliere e lo vide perdere quota e sparire, così ritenendo di averlo abbattuto.

A posteriori, il regio commissario Maccarone ritenne che la nave fosse stata attaccata contemporaneamente da due aerosiluranti, provenienti dai lati opposti, in modo che se la nave avesse evitato un siluro con un’accostata, sarebbe stata colpita da quello lanciato dall’altro. Entrambi gli aerei erano scesi di quota rapidamente ed a motore spento; quello di dritta era stato visto per primo ed inquadrato da dieci mitragliere della motonave, che lo avevano colpito, mentre quello di sinistra aveva attaccato silenziosamente e non visto, allontanandosi con una decisa virata non appena aveva sganciato il siluro. Era questo il siluro che aveva colpito la nave, probabilmente nella stiva numero 4, in prossimità della paratia stagna poppiera.
Mentre l’aria si riempiva di vapori di benzina, la Rialto continuò a sbandare rapidamente, e vennero fermati i motori. Si temette che la nave stesse affondando rapidamente, data la rapidità dello sbandamento, ed anche che i fusti di benzina nelle stive potessero esplodere ed incendiarsi; l’equipaggio si recò al posto di manovra delle lance e delle altre imbarcazioni per metterle a mare, ma i marittimi vennero sopraffatti dai militari del Regio Esercito, i quali, in preda al panico, occuparono per primi tutte le scialuppe e le calarono in modo errato, mentre la nave ancora si muoveva per l’abbrivio, facendone capovolgere tre nel mare agitato e fracassandone due (delle tre che si erano capovolte) contro la murata. Molti soldati caddero in mare; vennero buttate in acqua tutte le zattere ed i salvagente. Il regio commissario Maccarone scese dalla plancia e tentò di riportare l’ordine, ma non servì a niente; anche diversi marittimi civili e uomini della Regia Marina si gettarono in acqua e cercarono di allontanarsi.
Magra consolazione fu il vedere, in questo frangente, un aereo nemico, colpito dal tiro delle mitragliere della Rialto, precipitare in mare sulla sinistra. Un altro siluro, però, andò a segno (a bordo si sentì l’esplosione ma non si capì se dovuta ad altro siluro od a bomba), e la nave sbandò ancora di più.
Il caposcorta Cei Martini, appreso dall’Usodimare che la Rialto era stata silurata (ed avendola poco dopo avvistata a un chilometri di poppa, a dritta, traversata e ferma), ordinò all’Euro di assisterla; quando questi rispose di essere ancora sorvolato da aerei, Cei Martini dispose che il Gioberti lo rimpiazzasse, in modo che per il momento restassero sul posto due cacciatorpediniere (dopo di che vi avrebbe lasciato solo quello dei due dotato di miglio armamento contraereo).
Sulla Rialto, visto che non si poteva far niente per salvare la nave, anche il regio commissario Maccarone decise di abbandonarla e si recò all’unica lancia che fosse ancora appesa ad un paranco, una delle imbarcazioni di dritta. Nemmeno questa era uscita indenne dal parapiglia iniziale; si era infatti capovolta e, benché si fosse riusciti a raddrizzarla, era ora in gran parte allagata. L’imbarcazione era piuttosto affollata, soprattutto da soldati ed autisti; essendosi traversata la nave, le onde che battevano contro il fianco di dritta facevano sollevare e riabbassare paurosamente la piccola scialuppa.
Maccarone scese una scaletta di corda, impigliata in vari altri cordami che la rivoltavano di continuo, poi si lasciò cadere nella lancia, atterrando sui suoi occupanti e nell’acqua che la riempiva. Subito dopo scese il comandante civile, seguito dal primo e dal secondo ufficiale e da altri uomini, che Maccarone tirò a bordo dell’imbarcazione. Quando non si vide più nessun altro che scendeva, dato che la lancia era sopravvento e poteva sfasciarsi contro la murata della nave, gli occupanti tagliarono le corde del paranco della barbetta e si allontanarono a braccia (remi, scalmiere e tutta la dotazione della lancia erano finiti in mare quando si era capovolta), verso poppa. Un aerosilurante passò a bassa quota sui naufraghi, mitragliandoli.

Sulla Rialto, però, c’era ancora qualcuno. Il commissario militare al carico, sottotenente Zorzi, era rimasto a bordo a compiere un giro in cerca di eventuali feriti, e non fece in tempo a raggiungere la lancia prima che fosse calata; alla fine si dovette buttare in mare.
Nessuno si accorse degli artiglieri Francesco Grandinetti e Santo Di Mascio, che rimasero a bordo: erano tra coloro che venivano dall’Italia interna, e pur indossando i giubbotti salvagente avevano paura di gettarsi in mare. Passarono tutta la notte sulla nave in procinto di affondare, unici ancora a bordo.
La scialuppa con il comandante e Maccarone andò alla deriva; si sentivano ovunque grida di aiuto nel buio, ma non era possibile raggiungere gli uomini in mare, in mancanza di remi ed essendo la scialuppa stessa alla mercé del mare. Alcuni dei naufraghi riuscirono a raggiungerla a nuoto, e vennero issati a bordo dai suoi occupanti; primo tra questi fu il commissario al carico, sottotenente Zorzi.
La lancia di sinistra, invece, aveva ancora i remi; poté così raggiungere l’Euro, fermatosi nelle vicinanze della Rialto, sul quale trasbordarono i suoi occupanti.
La motonave era fortemente appoppata, e sbandata di 35° sulla sinistra. Il mare diventava sempre più agitato; le richieste di aiuto continuavano a levarsi nell’oscurità, senza possibilità di soccorso. Mezz’ora dopo l’abbandono della nave, gli occupanti della lancia di dritta fecero delle segnalazioni all’Euro con una piccola lampada tascabile, ed il cacciatorpediniere notò la sua presenza e si avvicinò lentamente all’imbarcazione. Dato che l’Euro si trovava sottovento, Maccarone gli chiese di portarsi sopravvento; così fece, dopo di che il cacciatorpediniere si fermò con la scialuppa alla sua sinistra, le si accostò, calò una corda che fu fissata alla fragile imbarcazione e prese a bordo i naufraghi. Questi salirono uno per volta; per ultimo, il regio commissario Maccarone.
Poco lontano, anche il Gioberti era intento al salvataggio di naufraghi, e mise in mare anche la propria motobarca per il recupero degli uomini in mare.
Ancora si sentivano grida di aiuto; diversi uomini nuotarono verso l’Euro, dal quale furono lanciate loro delle corde, ma nell’oscurità i naufraghi non riuscivano a vederle e venivano gettati dalle onde contro la murata del cacciatorpediniere, e poi trascinati più lontano.
Il regio commissario Maccarone, pur sofferente da varie contusioni e da vecchi reumatismi (era bagnato fradicio), chiese ed ottenne al comandante dell’Euro di mettere a mare un battellino per la ricerca dei naufraghi, offrendosi di guidarlo e chiedendo volontari per aiutarlo; tre marinai dell’Euro si fecero avanti, offrendosi due di remare ed uno di assistere nella ricerca.
Guidato dalle altissime ed incessanti grida dei naufraghi, il battellino coi quattro uomini affrontò i cavalloni e riuscì a raggiungere diverse persone che lottavano in acqua. Parte di esse poterono essere tirate faticosamente a bordo, mentre altre rimasero aggrappate ai bordi. L’acqua allagò rapidamente l’imbarcazione, che in breve si trovò a dover usare i remi solo per tenere la prua al mare, senza nemmeno pensare di poter avanzare.
Il Gioberti si avvicinò al battellino, e Maccarone gridò per farsi notare e gli chiese di portarsi sopravvento, per coprirli e permettere così di manovrare. Dopo che i naufraghi furono trasferiti sul Gioberti (uno di essi, De Agostini, era ferito e fu imbragato con cime per essere trasbordato), il comandante del cacciatorpediniere ordinò a Maccarone di tornare sull’Euro. Era quasi l’alba.
Il battellino allagato affrontò di nuovo il mare il cui stato seguitava a peggiorare; si sentivano ancora grida lontane, ma Maccarone non trovò nessun naufrago sulla sua rotta o nelle vicinanze.  
Tornato sull’Euro, Maccarone riferì al comandante dell’esito del tentativo ed aiutò poi a recuperare altri sopravvissuti. Infine giunse dal Da Noli l’ordine che l’Euro si riunisse subito al convoglio, lasciando il Gioberti ad ultimare il recupero dei naufraghi; quest’ultimo disse all’Euro di raggiungere la propria motobarca, ancora in mare, e trasbordarvi il regio commissario Maccarone ed il comandante civile della Rialto. Così fu fatto ed insieme ai due scesero sulla motobarca anche il secondo ufficiale della Rialto, Ramiro Magris, il suo direttore di macchina Antonio Zanin ed il commissario al carico Zorzi.
Una volta che fu a bordo del Gioberti, Maccarone disse al comandante del cacciatorpediniere che i 14.000 fusti di benzina presenti sulla motonave dovevano probabilmente costituire una notevole riserva di spinta e dunque avrebbero ostacolato l’affondamento; gli chiese di avvicinarsi alla Rialto, per vedere se fosse possibile salvarla.
Quando il Gioberti si avvicinò alla motonave, però, Maccarone dovette constatare che il lato sinistro era già sott’acqua, oltre al forte appoppamento. Nessuna speranza di recuperarla.
Maccarone fece però notare al comandante del Gioberti che i documenti segreti erano rimasti sulla Rialto, in parte chiusi nella cassaforte del comandante civile ed in parte nell’apposito sacchetto zavorrato, dunque bisognava restare sul posto ed aspettare che la nave affondasse, oppure provvedere ad accelerarne l’affondamento.
Mentre il comandante del Gioberti lo comunicava a Marina Tripoli, da bordo del cacciatorpediniere si vide che sull’estrema poppa della Rialto, sopravvento, c’erano ancora due soldati che chiedevano aiuto: erano gli artiglieri Grandinetti e Di Mascio. Maccarone chiese al comandante di mettere a mare il battellino a remi, vi si imbarcò e si diresse verso di loro, nel mare grosso.
Vedendo che indossavano i giubbotti di salvataggio, Maccarone, quando fu giunto vicino, gridò loro di buttarsi in mare, ma i due artiglieri, in preda al panico, si rifiutarono e si misero a pregare disperatamente la Madonna. Maccarone cercò di incoraggiarli a scendere la scala reale che era distesa sopravvento sul lato di dritta, ma il mare agitato che s’infrangeva contro la murata impediva al battellino di accostare; Maccarone disse allora ai due di spostarsi sul lato opposto, sottovento.
Portosi su quel lato, il battellino si accostò a centro nave, dove l’acqua ormai arrivava al boccaporto; sopra di esso, alcune grosse autocisterne erano fortemente inclinate e trattenute a stento dai cunei. Con lo sbandamento in aumento, rischiavano di farli cedere e precipitare in mare e, quel che era peggio, sul battellino di Maccarone, schiacciandolo. L’aria era satura di vapori di benzina.
Non potendo aspettare ancora, Maccarone si avvicinò ancor più, accostando la prua al ponte di coperta, proprio sotto le autocisterne; quindi incoraggiò Grandinetti e Di Mascio ad avvicinarsi in acqua, li prese per le mani, fece indietreggiare il battellino per allontanarsi dal pericolo costituito dalle autocisterne e trascinò prima in mare e poi sull’imbarcazione i due artiglieri, ancora in preda al panico.
Di salire sulla Rialto per recuperare i documenti segreti non era nemmeno il caso di parlarne; a Maccarone non rimase che tornare faticosamente sul Gioberti ed aspettare che la motonave si decidesse ad affondare.
Dopo sei ore di agonia (una così prolungata resistenza fu dovuta ai fusti di benzina, che agirono da “cassoni di spinta”), alle dieci del mattino del 5 ottobre, la Rialto si appoppò ancora di più, assunse una posizione verticale e s’inabissò nel punto 33°30’ N e 15°53’ E, 67 miglia a nord di Misurata, «salutata romanamente» da bordo del Gioberti. Rimasero le autocisterne, che continuarono a galleggiare, ballonzolando sulle onde.

Euro e Gioberti avevano recuperato in tutto 145 sopravvissuti.
Il resto del convoglio raggiunse Tripoli senza ulteriori danni.
Le vittime della Rialto furono venti.
 
La Rialto in affondamento (da Rolando Notarangelo, Gian Paolo Pagano, “Navi mercantili perdute”, USMM, Roma 1997)



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