lunedì 7 novembre 2016

Olimpia

L’Olimpia (da www.photoship.co.uk

Piroscafo da carico da 6040 tsl e 3795 tsn, lungo 127,7 metri, largo 16,9 e pescante 8,9, con velocità di 10 nodi. Appartenente all’armatore Achille Lauro di Napoli, iscritto con matricola 384 al Compartimento Marittimo di Napoli.

Breve e parziale cronologia.

27 novembre 1916 (altra fonte: 1918)
Varato nei cantieri Rickmers Werft AG di Bremerhaven come Rickmer Rickmers (numero di cantiere 169), per la Rickmers Reismühlen, Reederei & Schiffsbau AG di Bremerhaven.
23 luglio 1920 (altra fonte: 1919)
Completato e trasferito sotto il controllo del governo britannico, a seguito della sconfitta della Germania nella prima guerra mondiale, e ribattezzato Paria. Dato in gestione alla Furness, Withy & Co.
1920
Acquistato dalla Lancashire Shipping Company Ltd. di Liverpool, registrato a Liverpool e ribattezzato Kendal Castle. In gestione a James Chambers & Co.
1921
Ribattezzato Wray Castle (per altra fonte, la nave sarebbe stata ribattezzata Wray Castle subito dopo l’acquisto da parte della Lancashire Shipping Company, e non si sarebbe mai chiamata Kendal Castle). Stazza lorda e netta sono 6086 tsl e 3833 tsn.
20 agosto 1926
Alcuni giornali statunitensi raccontano una curiosa storia circa quanto accaduto sul Wray Castle (appena giunto a Staten Island) negli ultimi sei mesi di navigazione intorno al mondo: secondo i marinai cinesi che costituiscono parte dell’equipaggio, la nave sarebbe stata infestata da sette demoni malvagi durante l’intera permanenza nelle acque della Cina, ed i “demoni” sarebbero stati “scacciati” soltanto una volta giunti nell’Oceano Indiano, facendo scoppiare miccette, bruciando bastoncini d’incenso e gettando in mare appetitosi piatti di pollo arrosto. Il Wray Castle era partito da New York nel gennaio 1926, e la presenza dei “demoni” ha iniziato a “manifestarsi” dopo l’arrivo nelle Filippine: mentre la nave era all’ormeggio a Manila, un apprendista marinaio aveva perso l’equilibrio mentre verniciava le sovrastrutture, precipitando e rompendosi una clavicola. Successivamente, all’arrivo a Shanghai, il secondo ufficiale William Spancer era caduto nella stiva numero 5, restando quasi ucciso. Durante il successivo tratto di navigazione verso Singapore diversi membri dell’equipaggio avevano riportato ferite di poco conto in una serie di incidenti, tanto da convincere i superstiziosi marinai che la colpa di tanta sfortuna dovesse essere legata alla presenza di demoni a bordo della nave: il capo steward Wong Jong King aveva quindi tenuto una riunione con il capo dell’equipaggio cinese, ed all’arrivo a Singapore i due si erano recati nel locale tempio buddista, chiedendo al monaco a capo del tempio di mandare un “mago” per scacciare gli spiriti. Il monaco aveva detto loro che il “mago” non avrebbe potuto operare efficacemente, a causa del rumore nel porto; aveva però venduto loro fuochi d’artificio per 20 dollari e tre polli freschi, sostenendo che sarebbero bastati allo scopo. Una volta in mare aperto, i polli erano stati arrostiti e poi sistemati sui boccaporti delle stive, indi gettati fuori bordo nella speranza che i “demoni” li avrebbero seguiti; tre ore più tardi l’equipaggio aveva acceso i fuochi d’artificio e bruciato bastoncini d’incenso e banconote false. I marinai avevano ritenuto che i “demoni” se ne fossero andati, poiché da quel momento il tempo era stato bello e non si erano verificati altri incidenti; una volta entrato in Atlantico e superate le Azzorre, però, il Wray Castle era incappato in una violenta tempesta. Wong Jong si era recato dal comandante del piroscafo asserendo che, a causa della presenza a bordo di due gattini neri (figli dei gatti di bordo), uno spirito maligno era tornato in sala macchine, e che ciò fosse la causa del maltempo; aveva quindi chiesto al comandante di gettare fuori bordo i due micini per calmare il demone e far migliorare il tempo. Il comandante aveva acconsentito al sacrificio di una delle due bestiole, che era stata quindi gettata in mare, ma aveva insistito perché l’altra fosse risparmiata; il maltempo, comunque, era continuato fino all’arrivo del piroscafo a New York.
1932
Acquistato dall’armatore napoletano Achille Lauro e ribattezzato Olimpia.
5-7 marzo 1940
Durante il periodo della “non belligeranza” italiana, a seconda guerra mondiale già in corso, l’Olimpia si ritrova a far parte del convoglio britannico FN 112 (insieme a 32 navi mercantili tra britanniche, polacche e francesi) per il breve viaggio da Southend a Methil.
10 giugno 1940
L’Italia entra nella seconda guerra mondiale. L’Olimpia non sarà mai requisito dalla Regia Marina, né iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato.
4 ottobre 1940
L’Olimpia ed il piroscafo Siculo effettuano un viaggio, scarichi, da Durazzo a Bari, scortati dalla torpediniera Monzambano.
30 ottobre 1940
L’Olimpia, la motonave Birmania ed il piroscafo Cadamosto partono da Bari alle 18.30, scortati dalla torpediniera Generale Marcello Prestinari e dal piccolo incrociatore ausiliario Lago Zuai, trasportando 189 automezzi e 1314 tonnellate di materiali.
31 ottobre 1940
Il convoglio giunge a Durazzo alle 10.50.
6 novembre 1940
L’Olimpia ed i piroscafi Oreste e Neghelli lasciano scarichi Durazzo a mezzogiorno, scortati dalla torpediniera Stocco.
7 novembre 1940
Il convoglio giunge a Bari alle 9.50.
13 novembre 1940
Olimpia e Birmania, carichi di 799 automezzi, salpano da Bari all’1.45, scortati dalla torpediniera Confienza e dal minuscolo incrociatore ausiliario Lago Tana. Arrivano a Durazzo alle 8.30.
20 novembre 1940
L’Olimpia ed il piroscafo Nita, scarichi, ripartono da Durazzo alle 3.20, scortati dalla torpediniera Monzambano.
21 novembre 1940
Le tre navi arrivano a Bari alle quattro del mattino.
26 novembre 1940
L’Olimpia e la motonave Tergestea partono da Bari alle 18 trasportando 327 veicoli, con la scorta della torpediniera Generale Antonio Cantore.
27 novembre 1940
Le navi arrivano a Durazzo alle 9.30.


La nave sotto il precedente nome di Wray Castle (g.c. Mauro Millefiorini)

Siluramento

Alle 23.45 del 5 dicembre 1940 l’Olimpia, al comando del capitano Cacace, salpò da Durazzo insieme al piroscafo Carnia: i due bastimenti, scarichi, dovevano rientrare in Italia. Li scortava il vecchio cacciatorpediniere Augusto Riboty; i due piroscafi procedevano a 10 nodi senza zigzagare, a differenza del Riboty (il quale, in considerazione dell’elevato chiarore lunare, zigzagava ad alta velocità). Il mare era agitato.
Alle 4.55 del 6 dicembre, nel punto 41°06’ N e 18°39’ E (ad una quarantina di miglia da Brindisi), l’Olimpia fu colpito a poppa estrema da uno o due siluri.
Il Comando Superiore Traffico Albania, Maritrafalba, ricevette il segnale di soccorso dell’Olimpia alle 5.30, e subito fece partire il MAS 512 da Brindisi e la XIII Squadriglia MAS da Otranto, oltre a dirottare sul posto la torpediniera Castelfidardo, in arrivo da Taranto. L’ordine, per tutte le unità, era di raggiungere il luogo del siluramento per cercare il sommergibile attaccante e dargli la caccia.
Intanto, su ordine del Riboty, il Carnia prese a rimorchio il danneggiato Olimpia per portarlo verso Brindisi; la manovra di presa a rimorchio fu effettuata in meno di mezz’ora. Quando il cacciatorpediniere ne diede comunicazione, Marina Brindisi fece uscire il rimorchiatore Ercole.
Alle 10.15 il Riboty riferì che il rimorchio dell’Olimpia da parte del Carnia procedeva alla velocità di quattro nodi; per fare in modo che la nave giungesse in porto prima di notte, quando l’Ercole giunse sul posto gli fu ordinato di mettersi di proravia al Carnia. Questo accorgimento permise di incrementare di molto la velocità del convoglietto, che riuscì a raggiungere Brindisi alle 17.30.
L’Olimpia era salvo, così come il suo equipaggio, che non aveva subito perdite nel siluramento. Sia il comandante Cacace che il resto dell’equipaggio si erano prodigati con perizia marinaresca nel salvataggio della propria nave, effettuando perfettamente ogni lavoro necessario a mantenerla a galla.
Cosa avesse colpito l’Olimpia rimase per qualche tempo argomento dibattuto: inizialmente, dato che nei giorni precedenti non erano stati avvistati sommergibili lungo le rotte tra Italia ed Albania, si pensò che il piroscafo avesse urtato una mina alla deriva (ne erano state avvistate diverse, nel Canale d’Otranto, proprio il 6 dicembre), anche se Maritrafalba e Marina Brindisi avevano ugualmente disposto scorta e caccia antisommergibili a scopo precauzionale.
Una volta che la nave danneggiata fu esaminata, tuttavia, si rinvennero a bordo dei frammenti inconfondibilmente appartenenti al serbatoio ed alla testata di un siluro. L’Ufficio Storico della Marina Militare, nella sua opera “La difesa del traffico con l’Albania, la Grecia e l’Egeo” del 1964, attribuisce il siluramento al sommergibile britannico Regulus (capitano di corvetta Frederick Basil Curie), che – stando alla documentazione britannica – era in quel periodo in agguato a sud del parallelo 42° N ed a nord del parallelo 40° N; partito da Alessandria d’Egitto il 18 novembre con l’ordine di porsi in agguato nel Golfo di Taranto, era stato trasferito in questo nuovo settore (Basso Adriatico) il 23 novembre. Il Regulus non fece ritorno da quella missione, scomparendo con tutto l’equipaggio, senza mai aver comunicato con la base dopo la partenza; probabilmente urtò una mina al largo di Taranto proprio intorno al 6 dicembre, ed è oggi opinione degli storici che non fu questo battello a silurare l’Olimpia, anche perché il 6 dicembre il Regulus sarebbe dovuto rientrare ad Alessandria.
Non rientrò dalla propria missione nemmeno il sommergibile Triton (tenente di vascello Guy Claud Ian St. Barbe Slade Watkins), il cui settore d’agguato si trovava anch’esso nel Canale d’Otranto tra i paralleli 40° N e 42° N; nemmeno il Triton diede più notizia di sé dopo la partenza da Malta (28 novembre), ma nel suo caso il rientro sarebbe dovuto avvenire solo il 17 dicembre, pertanto avrebbe avuto abbondantemente il tempo necessario ad attaccare il convoglio italiano. Già all’epoca del siluramento i comandi britannici, che avevano intercettato l’SOS dell’Olimpia, avevano ritenuto che si trattasse del Triton “al lavoro”. La mancanza di sopravvissuti di questo sommergibile (che andò perduto in quei giorni senza aver riferito nulla alla base: forse vittima di mine o, meno probabilmente, di torpediniere italiane) impedisce una conferma assoluta, ma si ritiene oggi quasi certo che fu il Triton a silurare l’Olimpia.
Riparato dopo lunghi lavori, il piroscafo riprese a navigare, ma non più sulle rotte per l’Albania.
Armistizio e affondamento

All’annuncio dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati, l’8 settembre 1943, l’Olimpia si trovava nel porto di Trieste. Poco dopo la mezzanotte di quel giorno, il capitano di vascello Lorenzo Stallo, titolare del Comando Marina di Trieste, ordinò a tutte le navi mercantili e militari in condizioni di navigare di prepararsi alla partenza.
A Trieste un particolare fattore di rischio, in caso di aggressione tedesca (come poi avvenne), era rappresentato dagli accantonamenti di consistenti nuclei di truppe tedesche (di solito qui concentrati solo temporaneamente, e diretti verso la Grecia e l’Albania) proprio nella zona del porto. Il comandante Stallo lo aveva più volte fatto presente alle autorità dell’Esercito, lamentandosene, ma senza risultato.
Il comando del XXIII Corpo d’Armata aveva avvertito il Comando Marina che, durante la notte, truppe tedesche si sarebbero mosse da Opicina verso Trieste, dirette, come al solito, verso gli accantonamenti della zona portuale.
Dopo la mezzanotte dell’8 settembre, però, gli spostamenti delle truppe tedesche assunsero un’intensità ed un aspetto tali da diventare preoccupanti, così che il comando del XXIII Corpo d’Armata prese la decisione di contrastarli. Le uniche torpediniere presenti, l’Audace e l’Insidioso, furono inviate in rada per tenersi pronte a bombardare coi loro cannoni la rotabile Trieste-Opicina; alle 6.20 del 9 settembre il XXIII Corpo d’Armata comunicò che era necessario un intervento immediato delle torpediniere, ma proprio in quel momento le truppe tedesche aprirono il fuoco contro di esse, costringendole ad allontanarsi. Si tennero tuttavia pronte a scortare piroscafi in partenza.
Alle 6.30 le truppe tedesche accantonate nel porto, come temuto, passarono all’attacco; con un’azione rapidissima catturarono una batteria di cannoni da 76 mm e le mitragliere piazzate sulle banchine, ed occuparono i piroscafi ormeggiati. Nel volgere di un’ora o poco più, l’intero porto di Trieste era in mano tedesca; tutte le 26 navi mercantili presenti furono catturate, otto di esse intatte (le prime ad essere catturate, per le quali non si fece in tempo a far nulla) e le altre 18 sabotate come in precedenza ordinato.
Una corvetta fresca di cantiere, la Berenice, venne affondata dalle artiglierie tedesche mentre cercava di lasciare il porto.
Tra le navi catturate vi fu anche l’Olimpia.

Affidato, come molti mercantili italiani catturati dai tedeschi, alla Mittelmeer Reederei GmbH. di Amburgo, il piroscafo riprese successivamente a navigare con equipaggio prevalentemente tedesco, ma comprensivo anche di alcuni elementi italiani.

Il 16 ottobre 1943 l’Olimpia – con un carico di 648 tonnellate di paglia e fieno, 105 tonnellate di munizioni, 912 di materiale per pionieri, 833 di viveri, 1124 di avena e 1290 di farina – salpò da Trieste diretto a Durazzo, insieme alla motonave Argentina, anch’essa italiana ed anch’essa sotto controllo tedesco. I due bastimenti erano privi di scorta.
La loro navigazione s’interruppe però verso le 17 di quel giorno nel Basso Adriatico, al largo di Lissa, quando vennero attaccati dai cacciatorpediniere britannici Tumult e Tyrian.
Mentre il Tyrian si occupava dell’Argentina (che fu catturata), il Tumult si pose all’inseguimento dell’Olimpia; l’equipaggio del piroscafo incendiò il carico della nave, che fu poi catturata dal Tumult. I marinai britannici tentarono infruttuosamente di contrastare gli incendi, poi, rinunciando a salvare la nave, decisero di accelerarne l’affondamento. L’Olimpia venne così finito col lancio di tre siluri (due dei quali andati a segno) e di bombe di profondità.
L’intero equipaggio, composto da 12 italiani e 47 tedeschi, venne catturato.
 

L’Olimpia in fiamme, fotografato dalla plancia del Tumult, poco prima di essere affondato (IWM Non Commercial Licence – Copyright IWM, A 19936)
Va segnalata l’erronea versione, riportata nel libro “Fremde Schiffe in deutscher Hand 1939-1945”, secondo cui l’Olimpia sarebbe stato invece affondato per errore da tiro d’artiglieria tedesca al largo di Cattaro il 16 ottobre. Dalle ricerche di Platon Alexiades, non risulta alcun coinvolgimento di artiglieria tedesca, mentre è confermato che la nave fu affondata dal Tumult dopo essere stata incendiata dal proprio equipaggio.


Tre immagini dei prigionieri tedeschi, appartenenti all’equipaggio dell’Olimpia, a bordo del Tumult e poi al momento dello sbarco a Bari (IWM Non Commercial Licence – Copyright IWM, A 19938, A 19939 e A 19940)






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